“L’Economica del Nord-Est” Articolo Pubblicato già nel Novembre 2006


battaglia

Rispolverando le mie carte di “battaglia” ho trovato questo vecchio articolo che avevo pubblicato in Novembre 2006. E’ un po’ lunghetto ma mette in evidenza che non serviva essere grandi luminari per capire in che situazione l’Italia si trovava a livello sociale e sopratutto economico. Dobbiamo chiederci per cercare risposta: ” se un giovane ingegnere aveva compreso quello che oggi stiamo affrontando, perché chi è al servizio della comunità non ha fatto nulla per prevenire questa situazione che stiamo vivendo?”.

focus

Ieri, 27 Dicembre 2012, ho guardo un pezzettino della trasmissione FOCUS su Rete Veneta e dicevano che statisticamente circa il 75% di chi ha contratto un mutuo per acquisto della prima casa non riesce più a pagare. Questa percentuale colpisce principalmente quelli che hanno già versato 10 anni e più di rate.

 

Leggete ora l’articolo con questi dati in mente e lo troverete veramente interessante. 

Il sistema produttivo del nord-est dopo la fase di recessione del 2005, sta vivendo una ripresa visibile nell’aumento degli ordinativi, cioè del numero di nuovi lavori che vengono commissionati alle azienda e che costituiranno il fatturato, la ricchezza che l’impresa è capace di generare nell’anno fiscale. I principali istituti d’analisi del nord-est indicano un aumento degli ordinativi pari al 20% rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente. Dall’analisi di questo solo  indicatore sembrerebbe che l’economia della nostra area sia uscita dalla crisi degli anni passati, sembrerebbe che il futuro prospetti la possibilità di crescita economica e del benessere di questa intera area, ma non è così. Bisogna predente in esame anche altri fattori ed indici economici che esulano dalla semplice analisi della situazione economica mondiale. La crisi degli anni passati ha dimostrato che dietro la crisi congiunturale dei mercati esiste anche una crisi legata all’impresa. Ma che cosa significa crisi congiunturale e crisi strutturale?

La crisi congiunturale è una crisi indipendente dalle aziende: significa che per cause esterne, non interne all’azienda,  che coinvolgono l’intera economia mondiale (aumento del prezzo delle materie prime, rallentamento dei consumi e quindi una minor richiesta di prodotti da parte dei consumatori) la possibile ricchezza che viene generata dell’azienda diminuisce o non cresce e l’azienda entra in crisi non perché non è capace di affrontare o usare nuove tecniche, ma perché i consumatori non spendono, non acquistano.

La crisi strutturale è una crisi interna all’azienda. E’ indipendente dalla crisi congiunturale e si verifica perché la struttura interna e le strategie dell’azienda sono inadeguate, obsolete o perché i prodotti proposti dall’azienda nel mercato sono vecchi o inadeguati a rispondere alle mutevoli esigenze dei compratori. Un altro problema è costituito dalla concorrenza dei paesi emergenti, Cina in testa che immettono nei mercati prodotti uguali ai nostri ma a basso costo con l’effetto di far chiudere le nostre aziende. Semplice sarebbe pensare che una politica economica basata sui soli dazi sia sufficiente a tutelare le imprese e permettere di crescere e difendersi, ma questo non è vero e non è possibile. Quando parlo di crisi strutturale, mi riferisco al fatto che le nostre imprese sono piccole, gestite a livello famigliare, di tipo  artigianale e formate con meno di 50 operai. Ma perché è importante il fattore dimensionale? Il fattore dimensionale incide sulla capacità dell’impresa di generare ricchezza poiché oggi il timone dell’impresa è governato dal solo imprenditore. Un imprenditore con molte facce. L’imprenditore gestisce la produzione, gli acquisti, la contabilità, tutto ruota attorno a lui e questo sembrava essere sufficiente per vincere sia la concorrenza mondiale sia per crescere, sempre che ci sia la volontà nel crescere. Purtroppo intervistando molti imprenditori ho sentito parlare della loro volontà nel sapersi accontentare, nel non volere crescere di più quasi ad essere questo un  testamento. Ma come mai le imprese del nord-est sono così piccole con poca liquidità (soldi) e una struttura che non le permette di espandersi in un mercato senza confini?

Questo è il frutto del processo di crescita delle piccole e medie imprese: le nostre imprese sono nate per servire le grandi imprese, quelle imprese che per ridurre i costi e quindi venderci i prodotti sempre più a minor prezzo o dei prodotti con prezzo fisso e por guadagnare di più, hanno costruito attorno a se una miriade di piccole e medie imprese a cui affidare parte della produzione e quindi comandare e ridurre il costo di ogni pezzo prodotto dalla piccola impresa. Ogni grande impresa ha costruito attorno a se un indotto di imprese a cui commissionare parte della produzione. L’imprenditore è stato abituato ad essere valutato sulla sua capacità nel soddisfare la domanda della grande impresa e nella sua capacità nel ridurre sempre più i costi. Se ci pensate, se qualcuno vi dice cosa produrre, quanto produrre e questo committente è il vostro unico cliente, nasce ‘esigenza di trovare nuovi clienti? Di migliorare e valorizzare i prodotti rispetto alla concorrenza? Secondo voi ha senso se vi viene data lavoro che voi vi preoccupiate di creare una funzione aziendale che si occupi delle vendite? Tanto voi direte, ho chi mi da il lavoro e quindi è meglio che mi concentri nella produzione. Questo è lo schema mentale diffuso nell’imprenditoria del nord-est  che è entrato in crisi per effetto della globalizzazione. Le grandi aziende nel tempo della globalizzazione hanno la possibilità di acquistare la componentistica a livello mondiale a minor prezzo e quindi hanno ridotto o eliminato gli ordinativi alle piccole aziende che avevano creato attorno a se  per servirle.

Ma cosa significa essere una grande azienda? Principalmente si potrebbe pensare che la differenza risiede semplicemente nel numero dei dipendenti occupati. Una aziende può essere ritenuta di grandi dimensioni se ha un numero di occupati superiore a 250 dipendenti. In realtà sono altri i criteri che la identificano: Un aziende di grandi dimensioni è una azienda che è strutturata su più funzioni. Esiste una funzione vendite, una funzione valorizzazione del prodotto (marketing), una funzione contabile e una funzione di produzione. Il proprietario/imprenditore non è inteso essere colui che comanda e sa tutto di tutto, ma ha creato attorno a se uno staff dirigenziale formato da persone competenti che si occupano ciascuno delle proprie funzioni. Se ci pensate la funzione vendite avrà il compito di vendere e accrescere il numero di clienti per assicurare all’azienda la possibilità di prosperare e generare ricchezza, mentre la funzione marketing analizzerà la concorrenza e il mercato per applicare nuove strategie capaci di valorizzare i prodotti, di crearne di nuovi e di fidelizzare i clienti. Ritornando al nostro piccolo imprenditore titolare di una piccola o media impresa ora è più facile capire i problemi che si trova ad affrontare oggi, le grandi aziende hanno ridotto o eliminato gli ordinativi, non ha una azienda strutturata e principalmente capace di produrre e lo sa fare bene. Ma come si può prosperare senza clienti? Come può vincere le sfide della globalizzazione e della concorrenza sleale?

Se ascoltate, oggi tutti parlano in regione d’innovazione affermando che l’imprenditore deve innovarsi per vincere ed essere ancora competitivo nel mercato. Ma secondo voi quelli che parlano sanno cos’è l’innovazione? L’imprenditore che non ha una funzione di vendita, che è indispensabile per sopravvivere, sa che cos’è l’innovazione e come deve agire per applicarla nel contesto aziendale?

Facciamo un passo per volta e cerchiamo di capire che cosa sia l’innovazione. L’innovazione è una parola che riassume un metodo nel gestire un prodotto. Tale metodo implica che l’imprenditore debba analizzare il mercato e i concorrenti per valutare come sono i suoi prodotti rispetto a quanto fa la concorrenza. Sulla base di questa analisi si valuta se il prodotto deve essere aggiornato o radicalmente cambiato, nel senso di crearne uno nuovo. Analizzare la concorrenza permette con dinamicità, con movimento di migliorare e valorizzare il proprio operato e promuoversi in maniera efficace al cliente e al consumatore. Facciamo un semplice esempio: avendo le possibilità economiche, voi, comprereste un autoradio che è anche lettore mp3 o comprereste uno dei primi  autoradio a manopole? Penso che tutti noi saremmo spinti ad acquistare un autoradio tecnologicamente sviluppato, un prodotto che incorpora tecnologia e lo rendono unico rispetto alla concorrenza. Ora l’imprenditore che sa applicare nei suoi prodotti la conoscenza e le tecnologie provenienti dalla ricerca e sviluppo è capace di proporre qualcosa di unico e di nuovo rispetto agli altri e quindi aumentare la propria ricchezza, mentre quelli che producono ancora un prodotto vecchio sono soggetti a perdere quote di mercato e vedersi costretti a chiudere. L’innovazione quindi è valutazione per applicare la conoscenza e la tecnologia quale strategia per valorizzare i prodotti e rendersi unici rispetto alla concorrenza, questa è innovazione, non una parola ma un metodo per vincere sfruttando il sapere. Ora il nostro povero imprenditore come può applicarla autonomamente se non ha neanche una funzione di vendita e non applica le più elementari azioni per vendere?

Sia nelle piccole e medie imprese purtroppo non c’è una struttura organizzativa che riesca a creare un ambiente innovativo permanente. Azioni elementari, che risultano necessarie per poter competere a livello globale, non vengono organizzate con metodo e efficacia: non vengono applicate strategie per analizzare i mercati e la concorrenza, non si applica l’analisi di prodotto e la corrispondente analisi delle tempistiche. Per realizzazione i prodotti vengono impiegati solamente componenti e materiali che sono ben  conosciuti. Non c’è capacità di impiegare nuove conoscenze e tecnologie nei prodotti. La sfera delle idee e della cultura nonché della conoscenza, che ogni soggetto importa all’interno della società umana costruita all’interno della azienda, è scarsa e inadatta alle nuove sfide poste dalla globalizzazione.

A pensarci bene, senza cultura e istruzione si è portati a valutare e a reagire ai cambiamenti solo attraverso l’esperienza vissuta e non si è in grado di valutare mediante nuovi strumenti la necessità di modificare con velocità e originalità un prodotto vecchio e purtroppo imitato da altre realtà che geograficamente si trovano molto lontano rispetto ai distretti industriali.

E’ interessante osservare, anche che la voglia delle aziende di esportare i loro prodotti verso altri mercati al di fuori del sistema economico europeo è tanta, ma l’organizzazione delle attività necessarie per creare e sviluppare un metodo per valutare e rispettare le tempistiche di mercato è scadente. Si vuole vendere negli Stati Uniti, ma non si studiano e non si applicano le norme che regolano la valutazione della sicurezza e il conseguente rilascio del marchio di conformità alla normativa americana. Senza certificazione effettuata da un ente esterno all’azienda, che rilascia quale buon esito della certificazione un etichetta da applicarsi sul prodotto, le merci spedite negli Stati Uniti o in Canada non vengono accettate alle dogane di quei paesi. Ma come mai, una azione tanto semplice quanto quella di acquistare le norme e costruire il prodotto con velocità e nel rispetto delle norme di sicurezza, non viene applicata? Questo è il frutto di un’arretratezza culturale!! Allora come può esserci innovazione all’interno dell’azienda se non si riesce a organizzare queste semplici azioni?

Questa è la crisi strutturale del modo di fare impresa nel nord-est. Può essere risolta solo se c’è formazione e insegnamento nelle nuove tecniche.

Il governatore Draghi nella Lectio Magistralis tenuta presso la Sapienza il 9/11/2006 scrive tra l’altro che: “L’istruzione determina i processi di crescita economica. Il miglioramento delle conoscenze applicate alla produzione, l’accumulazione di capitale umano alimentano l’efficienza produttiva, sospingono la remunerazione del lavoro e degli altri fattori produttivi. Questo motore della  crescita diviene ancora più rilevante nelle fasi caratterizzate da un rapido progresso tecnico. Edmund Phelps notava fin dagli anni sessanta come l’acquisizione di un livello avanzato di conoscenza sia condizione essenziale per innovare e per adattarsi alle nuove tecnologie. Un insufficiente livello di istruzione può ripercuotersi sull’andamento della produttività a causa della conseguente scarsa capacità di realizzare le opportunità legate al rapido progresso tecnico”.

Il governatore Draghi afferma con coraggio che: “Nessuno dovrebbe ormai aver dubbi in Italia sull’urgenza di rimettere in moto la crescita economica. Il vivace spunto di ripresa congiunturale a cui stiamo assistendo non è certo sufficiente ad avviare una rapida soluzione dei difetti strutturali del sistema produttivo.”

 

 

 

 

Purtroppo, questa ripresa congiunturale distoglie l’attenzione dai veri problemi e nell’incapacità del modo di fare impresa specialmente nel nostro nord-est. Senza una politica di volontà nel supportare e accompagnare il cambiamento per vincere questa guerra economica si sta decretando la nostra sconfitta economica. Le sole parole, non accompagnate dalla determinazione e dalla volontà di fare ed essere “operai e maestri” nel tracciare un nuovo modello economico partendo dall’operare assieme ai più umili e indifesi non sono più sufficienti. L’Italia soffre anche se gli indici economici sembrano essere positivi. 

A questi problemi, oggi per effetto di questa finanziaria se ne aggiungono degli altri che privano gli imprenditori di risorse e possibilità economiche per sostenere il cambiamento strategico. Come può l’imprenditore uscire dalla crisi  se oggi perde anche la fiducia nelle istituzioni? Oggi lo Stato è visto quale ente che affama le categorie e illude gli operai che provvederà a ridistribuire la ricchezza nel paese, negando la possibilità a tutti di generare ricchezza e futuro. Torchiare le imprese e spremerle economicamente, specialmente quelle più piccole determina la volontà di spegnere un sistema capace che deve essere supportato con coraggio per internazionalizzarsi e accrescere la propria redditività . A parole dicono che supporteranno l’innovazione, poi ai fatti istituiscono un responsabile governativo per poche aree tematiche di sviluppo che selezionerà le imprese e quindi gli amici a cui dare i contributi. E’ questo che noi vogliamo? E questo quello che gli operai e gli impiegati vogliono per le loro aziende? Noi vogliamo che le nostre imprese crescano e che per effetto di questa crescita ci sia la possibilità di migliorare di nuovo il nostro tenore di vita. E’ questo che voliamo e pretendiamo. I problemi dell’occupazione si potranno risolvere se c’è la volontà nel supportare le nostre imprese.

Ma come fare?

Questo è possibile se noi proponiamo prima di tutto a livello regionale,nella nostra regione a statuto speciale, che venga creato un organismo che si occupi di supportare concretamente le imprese. Un bravo maestro non è forse quello che raccoglie gli ultimi della classe e li porta allo stesso livello dei primi? Questo organismo deve divulgare e accompagnare gli imprenditori per formarli nelle loro imprese a questo nuovo corso economico. Deve fornire degli strumenti per vendere e diffondere i prodotti delle piccole e medie imprese ed innovarsi a basso costo affinché possa generarsi ricchezza. Solo così si  potrà procede a garantire futuro e certezze per le classi operaie e impiegatizie. Con unità, con coesione e insieme potremo vincere e prosperare. In regione deve formarsi una nuova legge per l’innovazione che dia più potere alle imprese affinché a queste sia data la possibilità di gestire ed avvalersi dell’innovazione offerta al mercato dalle università regionali nel più breve tempo possibile per arrivare per primi sul mercato.

A questo punto, permettetemi di spendere due parole per noi giovani che rappresentiamo il futuro di questa vostra Italia!

Noi giovani siamo il pilastro della nostra Italia; rappresentiamo il futuro e abbiamo il diritto e il dovere di contare di più nelle scelte decisionali. A coloro che siedono nei “banchi del potere” dobbiamo affermare con profondo senso democratico, la volontà e il diritto a tracciare il nostro destino. Basta al lassismo e alle falsità e ai falsi ideali che ci vengono proposti per sedare le nostre anime! Basta alla finta “comodità” che ci viene inculcata per spegnere il nostro vero spirito di Italiani veri e combattivi. Noi, dobbiamo, con vero spirito italiano, essere costruttori del nostro destino, per vincere questa sfida per la nostra Patria!

Tempo addietro ci è stato dato un comandamento: “Amatevi e crediate alla vostra capacità nel dipingere il vostro futuro e quella della nostra Patria”.

Vogliamo che con far nulla, con le sole parole seguite dal lassismo permettiamo a questi vecchi di distruggere la nostra economia? E questo che vogliamo? O vogliamo condividere un sogno? Trasformare questa nostra economia decadente in una terra prolifera! Affermare ancora una volta la grandezza della nostra gente! Gente, che non deve aspettare nessuno, non deve aspettare la carità di nessuno, ma da sola con spirito ed abnegazione al dovere, cresce e dimostra la sua capacità e volontà di essere ancora una volta direttrice dell’economia e della creatività.

Noi giovani dobbiamo alzare la voce affinché concretamente si pensi al nostro futuro con opere e non con parole. Dobbiamo partecipare attivamente alla vita sociale per collaborare con la nostra voglia di fare, le nostre capacità e la nostra gioventù al processo decisionale per proporre progetti nuovi e rivitalizzare la nostra morente economia.

Cooperiamo alla grandezza della nostra Italia e non pieghiamoci alla miseria mentale che ci circonda!

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