La Libertà

Il più bel discorso sulla LIBERTA’ (Easy Rider)

libertà

Gorge: Lo sai? Una volta questo era proprio un gran bel paese… e non riesco a capire quello che gli è successo.
Billy: Beh, è che tutti hanno paura, ecco cos’è successo. Noi non possiamo neanche andare in uno di quegli alberghetti da due soldi, voglio dire propri di quelli da due soldi, capisci?Credono che si vada a scannarli o qualcosa, hanno paura.
George: Si ma non hanno paura di voi, hanno paura di quello che voi rappresentate.
Billy: Ma quando, per loro noi siamo solo della gente che ha bisogno di tagliarsi i capelli.
George: Ah no, quello che voi rappresentate per loro è la libertà.
Billy: Che c’è di male nella libertà? La libertà è tutto.

George: Ah si, è vero, la libertà è tutto, d’accordo, ma… parlare di libertà ed essere liberi sono due cose diverse. Voglio dire che è difficile essere liberi quando ti comprano e ti vendono al mercato… e bada non dire mai a nessuno che non è libero, perché allora quello si darà un gran daffare a uccidere, a massacrare per dimostrarti che lo è. Ah certo, ti parlano e ti parlano e ti riparlano di questa famosa libertà individuale, ma quando vedono un individuo veramente libero, allora hanno paura.
Billy: La paura però non li fa scappare.
George: No, ma li rende pericolosi.

La Paura, l’ignoranza, la decadenza morale di un intero popolo portano a perdere la Libertà. Portano a perdere la sicurezza nel Futuro, la certezza in un avvenire migliore.

Oggi, assistiamo al lento ma veloce distruzione delle regole e certezze democratiche di questo nostro paese:

  • Certezza del Lavoro, quale elemento di dignità e crescita sociale  e morale individuale e collettiva. Il lavoro quale elemento portante e necessario per porre le basi per la formazione di una famiglia e di crescita dei figli consapevoli di riuscire nella missione educativa posta in essere perché appartenenti al corpo della società italiana.
  • Certezza nel Diritto. Ritornando in dietro negli anni della scuola primaria e negli insegnamenti dei primi Presidenti della Repubblica, che con la rinuncia a vivere la loro gioventù per lottare per la Libertà, ci hanno insegnato a rispettare gli elementi alla base della Repubblica e la certezza della giustizia e il principio di innocenza fino al terzo grado sancito in Costituzione.
  • Allora bisogna tornare ad amare questo Paese impegnandosi nel fare, non ad aspettare il salvatore, ma operando attivamente per il cambiamento.

Il Coraggio del Lavoro

destino

Cos’è il coraggio se non un pontile che ci porta a un bivio? Cos’è il coraggio se non una strada che ci conduce in posti inesplorati. Cos’è la Vita se non una passione che ci alimenta nel ricercare la soluzione ai nostri bisogni di affermare che esistiamo e siamo fautori del nostro destino.

libertà

 

Siamo liberi nel momento in cui esprimiamo la nostra anima quale elemento caratterizzante del nostro essere. Siamo liberi perché, giorno dopo giorno, passo dopo passo, sacrificio dopo sacrificio ricerchiamo questa strada di libertà del nostro pensiero nel ricercare di lasciare un segno tangibile del nostro passaggio e nel cercare di portare anche quaggiù il Paradiso.

Non è utopia la ricerca di migliorare la società e nel cerca di espandere l’occupazione per la collocazione di altri fratelli! Non è utopia nel cercare di spingere i giovani a lottare per conquistarsi un pezzo di dignità del vivere. Non è utopia credere e sognare nel vedere che la propria nazione lotta per elevare la dignità e la speranza nel futuro del proprio popolo.

Una volta ebbi a dire a un convegno che:” Il vero maestro è quello che prende l’ultimo della classe e lo porta al livello dei primi”.

maestro

Sì è vero! Il maestro quale figura di carità sociale che ha scelto la professione non per sopravvivere alle necessità umane, quanto per accompagnare i più deboli verso il riscatto sociale.

Oggi viviamo troppo in una bolla di sapone che nega il gesto della solidarietà per cui il messaggio predominante è di  legare il nostro successo al nostro individualismo.

bolla

Ma è giusto, quale esseri umani, pensare solamente a noi stessi? E’ giusto credere che la nostra felicità sia semplicemente il denaro? E’ giusto sperare nella solitudine della propria casa scollegati dalla nostra società umana?

Credo, senza scomodare la teologia, che come uomini se fossimo stati destinati a vivere il nostro individualismo non avremmo avuto bisogno della parola e delle sue più svariate forme e declinazioni. Se abbiamo ricevuto in dono la parole è per comunicare e crescere insieme, perchè il successo del singolo è il successo del gruppo.

Infatti, la storia è piena di esempi dove i grandi pensatori, i grandi costruttori ci hanno lasciato testimonianza del loro passaggio perché hanno determinato le sorti, la crescita della comunità e dalla comunità vengono ricordati quali modelli di successo sociale.

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Il lavoro quale elemento sociale e comunitario di successo. Il lavoro quale elemento spirituale per applicare l’anima nelle cose che si fa, nei prodotti che si realizza. In quel semplice gesto del lavorare il prodotto o parte di esso assume la nostra essenza e rileva alla comunità, quale elemento tangibile, che anche io posso contare perché esprimo le mie capacità. 

Allora finisco questo post con una domanda aperta:” Cosa sto facendo, in base alle mie capacità e alle mie possibilità, per costruire lavoro? Cosa sto facendo per questa società? Che testimonianza del mio umano passaggio lascerò?

 

 

       

 

 

  

Perchè Lottare

Martin Luther King

Perchè lottare per le proprie idee? Perchè lottare per il proprio pensiero? Perchè dare valore alle parole? 

Perchè se non facciamo nulla siamo responsabili e complici di coloro che ci stanno uccidendo!

Non facciamoci annullare, non spegniamo la speranza in un futuro che ci appartiene. Non facciamo si che la sfiducia, la solitudine prendano il sopravvento sui veri sentimenti che appartengono ad ogni uomo e donna! L’amore e la speranza nel futuro e nel essere capaci con le proprie mani, con il proprio lavoro nel dare una vita migliore non solo economica, ma morale e spirituale ai propri figli.

Ama il prossimo tuo come te stesso, Gesù ci ha dato come comandamento!

ghandiSiamo vivi non perchè respiriamo, ma perchè giorno per giorno, ora per ora soffriamo per una passione, ci emozioniamo per ogni seppur piccola cosa. Esprimiamo la nostra anima in ogni gesto della nostra vita. Una carezza alla propria ragazza, alla propria moglie ai propri figli. Un sorriso verso l’ultimo, l’emarginato di strada, che ci osserva traballante perchè lasciato solo!

Un gesto, una parola sono l’amore per vincere e disegnare il futuro. Se accettiamo impassibili quanto ci viene imposto allora non ci sarà speranza. Allora non ci sarà possibilità di sorridere ed essere orgogliosi di lasciare un Paese migliore ai nostri figli, ai nostri nipoti.

Che coraggio avremo nel guardare gli occhi dei nostri figli se non reagiamo nel costruire un Paese migliore, più giusto dove il figlio dell’operaio torni avere le stesse possibilità di crescita del figlio del politico?

Che coraggio avremo a guardarci allo specchio se non prendiamo in mano le redini della nostra vita!!

italiani_estero_Se saremo silenziosi, pur rendendoci conto del disastro, saremo complici di coloro che per mero scopo speculativo hanno distrutto il nostro Paese. Hanno frammentato l’amore nell’essere italiani. Hanno distrutto questa nostra comune casa.

Allora con questo post voglio far riflettere che è possibili ricostruire questo Paese, se e solo se, insieme, tutti assieme, lotteremo perchè non ci venga rubata la nostra democrazia. Democrazia che equivale alla libertà d’espressione e l’obbligo sociale della dignità del vivere nella pienezza della parola espressione dell’anima di ciascuno di noi.

Per cui sogniamo e lottiamo  investendo nel nostro futuro unica garanzia di rendita!

Il Mio Progetto Industriale – La Capacità dei Giovani quale strategia per uscire dalla Crisi

giovani

Oggi sul Messaggero Veneto ho letto un articolo che mostra finalmente il vero stato delle cose per quanto riguarda il sistema economico del Friuli Venezia Giulia. In 5 anni chiuse 3.700  aziende e la disoccupazione giovanile è al 30%. in più 80.000 sono i lavoratori che pagano gli effetti della crisi, cioè il 6.4% dell’intera popolazione del Friuli Venezia Giulia considerando tutti anziani e bambini.

80.000 lavoratori in crisi equivalgono a più di 2 volte la popolazione del comune di Gorizia o come l’80% dell’intero comune di Udine!!

Leggendo l’articolo ho ripensato a quanto ho fatto dal 2005 ad oggi per sensibilizzare la politica e la classe dirigente, al fine di evitare o quantomeno a mettere in campo degli strumenti, che permettessero alle nostre imprese di poter crescere e mantenere l’occupazione esportando  in maniera sistemica come fa la Germania nel mondo. Sempre l’articolo del Messaggero Veneto mette in evidenza che il 2012 ha segnato un calo per le esportazioni regionali del 8.9% mentre il prodotto lordo regionale in 5 anni è calato del 7.9%.

Questo è il risultato di aver abbandonato le imprese regionali al loro destino, mentre come fa la Germania, vanno accompagnate a crescere nei mercati esteri e ad innovare utilizzando degli strumenti condivisi che permettono di abbattere i costi fissi.

Ripensavo alla mia battaglia iniziata nel lontano 2005 dove scrivevo sul “il Nuovo FVG” l’articolo:  “So Produrre ma non Vendo ” che metteva in luce quanto sarebbe accaduto se non si provvedeva immediatamente a costruire a livello regionale un apparato, magari gestito da Friulia, che coordinasse e accompagnasse le imprese a crescere e a gestire i rapporti con le università regionali per innovare i prodotti e i servizi delle imprese.

Ricordo come se fosse ieri il primo incontro che ho avuto all’assessorato delle Attività Produttive FVG durante la Giunta Illy nel 2005. Avevo 27 anni e lavoravo ancora come ricercatore industriale a Milano. Spiegai al dirigente il progetto qui sotto sintetizzato esortandolo a farlo proprio e a iniziare ad impostare un lavoro che permettesse di costruire degli strumenti condivisi per accompagnare la crescita e la capacità competitiva delle piccole e medie imprese regionali. In tutta risposta il dirigente mi disse ” chi è lei? chi si crede di essere? Io credo alle grandi aziende sono quelle a creare occupazione!” Ero giovane, ero inesperto e riusci a dire solo che si stava sbagliando perchè sono le piccole e medie imprese a garantire il massimo dell’occupazione. Oggi questo dirigente è ancora al suo posto anche se con la sua mentalità ha prodotto 80.000 lavoratori senza futuro e 3700 aziende morte.

Ricordo anche l’incontro del 2009 sempre all’Assessorato Attività Produttive FVG giunta Tondo. Anche in quell’occasione incontrai un altro funzionario di alto livello dell’assessorato per presentare un progetto per rilanciare lo stabilimento di Safilo in Friuli e sensibilizzare di nuovo sull’urgenza di costruire degli strumenti per la competizione delle piccole e medie imprese regionali. In tutta risposta questa volta mi disse” Ingegnere lei avrebbe ragione ma sa è troppo difficile!”.

Anche questo dirigente è ancora al suo posto, ma la cosa più assurda è che se si vede il suo curriculum non ha mai lavorato in una azienda privata. Come può una persona che non ha mai fatto esperienza di produzione, non ha mai lottato per la competitività d’azienda, non ha mai gestito clienti internazionali  avere la capacità di dirigere ed impostare un nuovo modello di sviluppo economico e far uscire il Friuli Venezia Giulia dalla crisi?

Risponderò a questo quesito riportando parte dell’articolo “Dibattito: E’ in crisi il modo di fare impresa” che pubblicai sul Messaggero Veneto il 19 Maggio 2010.

Scrivevo: Oggi, purtroppo in regione mancano idee e strategie rinnovate per cui chi dovrebbe indirizzare l’attenzione degli assessori e dei consiglieri ed essere motore di nuovi schemi e di nuove metodologie da applicare al nostro tessuto economico è impreparato rispetto all’evoluzione e alla rapidità dei cambiamenti e dei mercati internazionali.

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Il mio progetto, il mio sogno industriale  è questa slide numero 8. Trasformare il sistema produttivo del Friuli Venezia Giulia in un sistema di aziende induttrici di prodotti di alta qualità ed alto contenuto tecnologico per vincere la concorrenza globale. Infatti costruendo un nuovo sistema industriale dove alle imprese regionali vengono offerti degli strumenti per la competizione globale condivisi, si permette che ogni impresa possa vendere ed esportare in maniera sistemica in tutto il mondo ed innovare i propri prodotti in modo facile e veloce con i centri di ricerca e le università regionali.

Quanta occupazione giovanile si costruirebbe dove ogni giovane sarebbe collocato quale agente e promotore di vendita, ricercatore, imprenditore! L’uomo di nuovo al centro delle politiche di sviluppo e di miglioramento sociale.
A conclusione di questo articolo, che mette in luce che potremmo ripartire solamente se sapremmo aprirci alla competenza e alla capacità dei giovani, finisco con la lettera che scrissi nel 2007 al presidente di Confindustria Montezemolo dove parlavo proprio dei giovani e della loro capacità di lottare e produrre il miglioramento.

Spett.le Presidente dott. Montezemolo

Confindustria

Egregio Presidente dott. Montezemolo,

sono stato molto colpito dalla sua analisi sulla situazione socioeconomica dell’Italia e dalle sue osservazioni dove evidenzia i problemi strutturali del paese e sottolinea in modo deciso che oggi ancora per il momento, ai giovani non è permesso di contribuire in modo deciso alla riprese e alla crescita del nostro Paese.

L’attuale situazione sta limitando le profonde potenzialità, che i giovani possono e devono offrire al miglioramento della situazione economica nazionale: creatività, voglia di fare, senso dell’imprenditoria, voglia di osare e uscire dagli schemi e l’accettazione del rischio, il cui controvalore deve essere la crescita personale misurabile, che rappresentano i valori portanti dell’essere imprenditore, sono stati sostituiti dal “valore” della sfiducia, della incapacità nel realizzarsi, dalla sicurezza del non farcela e ciò contribuisce a rendere più debole a livello internazionale l’intero sistema paese verso quei paesi che ancora per il momento giocano le loro battaglie economiche e determinano il loro successo solamente agendo sul prezzo e non sulla conoscenza applicata ai prodotti (capacità d’innovazione).

Rispetto agli altri giovani, mi ritengo molto fortunato, perché ho lavorato nel campo della ricerca e sviluppo e quindi dell’innovazione alla STMicroelectronics. Qui ho potuto apprendere gli insegnamenti dell’ingegner Pistorio e provare di persona l’importanza dell’innovazione e della valorizzazione sia motivazionale e sia culturale del personale per vincere le sfide della globalizzazione e della competizione a tutto campo, attraverso l’uso di tecniche, che sono praticamente sconosciute nel mondo della piccola e media imprenditoria. E’ grazie alla STMicroelectronics dell’ingegnere Pistorio se ho adottato anch’io da ingegnere, l’innovazione quale elemento caratterizzante e indispensabile, anzi direi vitale, per la crescita e lo sviluppo in un mercato che non è più nazionale ma è mondiale. Oggi, lavoro per una società inglese che “apre le porte” del mercato nordamericano ai prodotti italiani. Infatti per vendere nel nord America i propri prodotti, questi devono essere valutati secondo gli standard di sicurezza da un ente accreditato presso il governo americano e canadese. Questo lavoro da una parte mi permette di valutare i prodotti italiani, di capirne i punti di forza e debolezza e dall’altra parte mi permette di entrare all’interno delle aziende italiane sia di piccole dimensioni e sia di grandi dimensioni. Attualmente le aziende vedono l’innovazione come una parola perdendo di vista che essa è prima di tutto un metodo, una metodologia e una pianificazione della gamma dei prodotti. Infatti la qualità dei prodotti italiani pur essendo molto buona se paragonata a quella dei prodotti dei paesi emergenti, non è un sicuro elemento sul quale far leva per la vendita dei prodotti se alla base della valutazione da parte del cliente, il prodotto a livello costruttivo è identico a quello della concorrenza dei paesi emergenti. Da quanto, ho appreso dalle osservazioni all’interno delle imprese italiane, manca una politica di diversificazione e di valorizzazione dei propri prodotti. Attualmente innovare, quindi applicare la tecnologia e la conoscenza scientifica, diventa quasi impossibile se non si accompagna le imprese in questa fase delicata di trasformazione del modo di fare impresa.

Le ho scritto per chiederle un appuntamento al fine di presentarmi ed essere valutato. Come ben sa anche lei, attualmente in Italia anche se si hanno maturato delle significative competenze e si è  determinati, risulta ancora difficile essere valorizzati in un sistema che non è meritocratico ed risulta quasi impossibile avere delle possibilità concrete per poter contribuire con la propria esperienza e la propria volontà di fare squadra al rilancio del nostro Paese. Altri paesi, quali il Canada credono molto di più nel valore della creatività e della “passione” dei giovani al punto che il mio progetto finanziario, che mostra come può essere gestita ed organizzata l’innovazione per creare un vantaggio economico per un’intera nazione, è stato preso in considerazione dal Ministro economico dello stato dell’Ontario. Certamente,come ben sa anche lei, i tempi di risposta seguono le leggi del mercato e anche se l’urgenza della situazione economica vorrebbe l’applicazione quasi immediata di tutte quelle soluzioni che possono contribuire a modificarla, bisogna saper attendere fiduciosi e continuare a divulgare la propria soluzione in qualsiasi direzione sfruttando anche le potenzialità del web.

Credo fortemente nella condivisione dei punti di vista è questo mi spinge a chiederle questo incontro, per confrontarmi con lei e proprio dal confronto riuscire a migliorarmi e a presentarle il mio punto di vista su come può essere migliorato e accresciuto il vostro programma per l’innovazione. Credo che tutti noi vogliamo e crediamo nell’urgenza di risvegliare la nostra economia anche attraverso dei modelli concreti e facilmente capibili in modo che soprattutto il piccolo imprenditore del nord-est, abituato prima di tutto a produrre e poi a ragionare, possa innovare ed espandersi.

Ringraziandola distintamente saluto,

Dott. Ing. Marco Lanaro

Povoletto, 14 Luglio 2007

confindustria

Innovazione all’Italiana

Cosa significa essere italiani? Quali sono le caratteristiche dell’essere italiano?

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Per il resto del mondo l’Italia è un vero e proprio  enigma – ha detto Philip Kotler, il più noto tra gli esperti di marketing – perché è l’unico sistema Paese nel quale si riesce a generare valore nonostante  la situazione di assoluto caos.

Riporto qui di seguito una parte dell’articolo del prof. Carlo Alberto Pratesi dell’Università ROMA Tre. (L’articolo completo si può leggere alla seguente pubblicazione).

“A partire dalla creatività: una dote che non ci viene riconosciuta da tutti. Per esempio, Edward de Bono, forse il massimo esperto dell’argomento, ha detto al  riguardo:  «Il problema è che voi italiani confondete  la vostra innata capacità nel campo della moda con  la creatività, che invece è un’altra cosa». Tom Kelley,  partner della IDEO (società leader al mondo nella  consulenza per il design) considera più capaci di noi   nell’innovazione quasi tutti i Paesi industrializzati, a partire da Singapore: «Lo si capisce subito dal fatto che lì, a differenza di quanto non avvenga in Italia,  la gente parla più spesso del futuro che non del passato, ha spiegato. Di certo si parla ancora molto  di Italian Style, ma anche su questo c’è da discutere,  per esempio in Nord Europa o negli Emirati Arabi (vedi il Design Factory di Helsinki ed Education City  a Doha) non siamo affatto considerati come benchmark. Più in generale, sembrerebbe che all’estero  sia diffusa la sensazione che la genialità italiana si  fondi soprattutto sul passato, sulla storia artistica e culturale, che forma un concetto unico con il nostro calore e con la nostra indubbia simpatia. Prova ne è che di noi si apprezzano soprattutto le tradizionali tre F (fashion, food e forniture), malgrado il fatto che molti dei più recenti e interessanti accordi economici  siano nati grazie ad aziende italiane attive nei settori ad alto contenuto di tecnologia. La realtà, evidentemente, è che il nostro Paese è ricco di contraddizioni e qualunque definizione che lo riguardi potrebbe essere facilmente confutata.”

Visione del futuro, voglia di andare avanti e di non accontentarsi delle comodità passeggere, spirito di intraprendenza sono aggettivi e parole che descrivono lo stato necessario per poter uscire dalla crisi di idee e di valori  che attraversa il nostro Paese. Abbiamo bisogno di tornare a credere in noi stessi. Abbiamo bisogno di tornare a credere nel futuro; a vedere scorrere nelle nostre menti il crescere lineare delle nostre speranze, delle nostre emozioni che vengono convertire in prodotti e in servizi. Perché un prodotto italiano non è solamente un oggetto di uso quotidiano, ma assume un valore intrinseco perché l’amore nella progettazione, nella cura del particolare, nella scelta estetica e stilistica fa sì che l’oggetto si animi per trasmettere la propria essenza, la propria spiritualità.

Non a caso negli anni Sessanta, il massimo picco della creatività italiana, abbiamo saputo trasformare il nostro Paese in un laboratorio delle idee e della sperimentazione.

Siamo stati i creatori della plastica Moplen ideata dal prof. Giulio Natta, che ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca. Si può dire che il prof. Natta è il precursore della ricerca industriale applicata dove le competenze e le qualità della migliore ricerca universitaria vengono trasformate e contestualizzate nel modello d’impresa per costruire nuovi prodotti e assicurare nuova occupazione e nuove risorse per la ricerca universitaria.

Potremmo fare molti esempi che testimoniano la genialità italiana di pionieri dell’innovazione e della creatività italiana che lasciati soli, da un sistema politico e sociale non lungimirante, hanno saputo dar lustro al Paese, ma che purtroppo rimangono casi singoli rispetto al modello di sistema che la Germania ha saputo e sa costruire e potenziare.

Un altro esempio: La solari di Udine, azienda voluta e potenziata dalla capacità e dalla creatività di Fermo e Remigio Solari. Innovatori e visionari che seppero portare il Friuli in tutto il mondo nelle stazioni dei treni e degli aeroporti dimostrando che la tenacia e la volontà nel riuscire, riescono a vincere tutte le difficoltà e le avversità che la vita pone di fronte a ciascuno di noi. Solari_Udine_basket

Ora dobbiamo, lottare per il futuro. Lottare per tornare a sperare nelle idee e nella volontà del miglioramento continuo. Abbiamo capacità innate e dobbiamo solo liberarle dal pessimismo e dalla incapacità di molti che si sono elevati a nostre guide e gestori creando in realtà un sistema e un modello sociologico che opprime la volontà nel cambiare e nel produrre nuove idee e nuovi modelli. Parlo del modello e dell’organizzazione dell’apparato produttivo. Abbiamo oggi necessità vitale di riorganizzare il nostro modello produttivo per fornire alla imprese che resistono alla crisi nuovi strumenti per l’espansione tecnica e commerciale.  Oggi serve dare degli strumenti a costi sostenibili alle imprese che permettano da un lato l’espansione commerciale su modello tedesco, dall’altro lato l’importazione nel conteso aziendale dalla ricerca universitaria in ogni azienda. Reti condivise di agenti di vendita che coprono capillarmente l’intero globo. Ricercatori condivi che portano le imprese anche quelle artigianali ad applicare e a sviluppare nuove competenze di ricerca e di miglioramento di prodotto.

Un nuovo modello produttivo condiviso che così possa permettere anche la nascita e la crescita di nuove imprese sopratutto con imprenditori giovani.

Mi sembra assurdo che il tasso di disoccupazione giovanile sia vicino al 40% e nessuno si interroghi su questo. Che cosa stiamo facendo? Vi rendete conto che questo immobilismo sta distruggendo il futuro di tutti giovani ed anziani? Se non c’è ricambio generazionale nel mondo del lavoro, significa che le pensioni sono compromesse, perché non c’è più sostenibilità tra le entrate derivanti delle imposte sui giovani che possano mantenere in vita il sistema pensionistico. Purtroppo ci accorgeremo di questo problema, se non si fa niente per la ripresa occupazionale, entro 5-10 anni dove ahimè nel momento di maggior bisogno gli anziani rimarranno senza fonte di sostentamento.

E’ ormai vitale far si che i giovani possano aprire aziende e creare occupazione per la salvezza del Paese Italia, per questo lo ripeto, serve un nuovo modello produttivo, un nuovo progetto industriale.

Il Futuro è a portata di mano, ma sarà possibile riuscire nel rilancio economico e quindi nella crescita di occupazione se e solo se capiremo che gli scrittori e i poeti della nostra vita siamo noi e soltanto noi. Non esiste esempio nella storia dove qualcun’altro si è sostituito a noi e ha prodotto il miglioramento della nostra vita senza sacrificio e rinuncia individuale.

“L’Economica del Nord-Est” Articolo Pubblicato già nel Novembre 2006

battaglia

Rispolverando le mie carte di “battaglia” ho trovato questo vecchio articolo che avevo pubblicato in Novembre 2006. E’ un po’ lunghetto ma mette in evidenza che non serviva essere grandi luminari per capire in che situazione l’Italia si trovava a livello sociale e sopratutto economico. Dobbiamo chiederci per cercare risposta: ” se un giovane ingegnere aveva compreso quello che oggi stiamo affrontando, perché chi è al servizio della comunità non ha fatto nulla per prevenire questa situazione che stiamo vivendo?”.

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Ieri, 27 Dicembre 2012, ho guardo un pezzettino della trasmissione FOCUS su Rete Veneta e dicevano che statisticamente circa il 75% di chi ha contratto un mutuo per acquisto della prima casa non riesce più a pagare. Questa percentuale colpisce principalmente quelli che hanno già versato 10 anni e più di rate.

 

Leggete ora l’articolo con questi dati in mente e lo troverete veramente interessante. 

Il sistema produttivo del nord-est dopo la fase di recessione del 2005, sta vivendo una ripresa visibile nell’aumento degli ordinativi, cioè del numero di nuovi lavori che vengono commissionati alle azienda e che costituiranno il fatturato, la ricchezza che l’impresa è capace di generare nell’anno fiscale. I principali istituti d’analisi del nord-est indicano un aumento degli ordinativi pari al 20% rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente. Dall’analisi di questo solo  indicatore sembrerebbe che l’economia della nostra area sia uscita dalla crisi degli anni passati, sembrerebbe che il futuro prospetti la possibilità di crescita economica e del benessere di questa intera area, ma non è così. Bisogna predente in esame anche altri fattori ed indici economici che esulano dalla semplice analisi della situazione economica mondiale. La crisi degli anni passati ha dimostrato che dietro la crisi congiunturale dei mercati esiste anche una crisi legata all’impresa. Ma che cosa significa crisi congiunturale e crisi strutturale?

La crisi congiunturale è una crisi indipendente dalle aziende: significa che per cause esterne, non interne all’azienda,  che coinvolgono l’intera economia mondiale (aumento del prezzo delle materie prime, rallentamento dei consumi e quindi una minor richiesta di prodotti da parte dei consumatori) la possibile ricchezza che viene generata dell’azienda diminuisce o non cresce e l’azienda entra in crisi non perché non è capace di affrontare o usare nuove tecniche, ma perché i consumatori non spendono, non acquistano.

La crisi strutturale è una crisi interna all’azienda. E’ indipendente dalla crisi congiunturale e si verifica perché la struttura interna e le strategie dell’azienda sono inadeguate, obsolete o perché i prodotti proposti dall’azienda nel mercato sono vecchi o inadeguati a rispondere alle mutevoli esigenze dei compratori. Un altro problema è costituito dalla concorrenza dei paesi emergenti, Cina in testa che immettono nei mercati prodotti uguali ai nostri ma a basso costo con l’effetto di far chiudere le nostre aziende. Semplice sarebbe pensare che una politica economica basata sui soli dazi sia sufficiente a tutelare le imprese e permettere di crescere e difendersi, ma questo non è vero e non è possibile. Quando parlo di crisi strutturale, mi riferisco al fatto che le nostre imprese sono piccole, gestite a livello famigliare, di tipo  artigianale e formate con meno di 50 operai. Ma perché è importante il fattore dimensionale? Il fattore dimensionale incide sulla capacità dell’impresa di generare ricchezza poiché oggi il timone dell’impresa è governato dal solo imprenditore. Un imprenditore con molte facce. L’imprenditore gestisce la produzione, gli acquisti, la contabilità, tutto ruota attorno a lui e questo sembrava essere sufficiente per vincere sia la concorrenza mondiale sia per crescere, sempre che ci sia la volontà nel crescere. Purtroppo intervistando molti imprenditori ho sentito parlare della loro volontà nel sapersi accontentare, nel non volere crescere di più quasi ad essere questo un  testamento. Ma come mai le imprese del nord-est sono così piccole con poca liquidità (soldi) e una struttura che non le permette di espandersi in un mercato senza confini?

Questo è il frutto del processo di crescita delle piccole e medie imprese: le nostre imprese sono nate per servire le grandi imprese, quelle imprese che per ridurre i costi e quindi venderci i prodotti sempre più a minor prezzo o dei prodotti con prezzo fisso e por guadagnare di più, hanno costruito attorno a se una miriade di piccole e medie imprese a cui affidare parte della produzione e quindi comandare e ridurre il costo di ogni pezzo prodotto dalla piccola impresa. Ogni grande impresa ha costruito attorno a se un indotto di imprese a cui commissionare parte della produzione. L’imprenditore è stato abituato ad essere valutato sulla sua capacità nel soddisfare la domanda della grande impresa e nella sua capacità nel ridurre sempre più i costi. Se ci pensate, se qualcuno vi dice cosa produrre, quanto produrre e questo committente è il vostro unico cliente, nasce ‘esigenza di trovare nuovi clienti? Di migliorare e valorizzare i prodotti rispetto alla concorrenza? Secondo voi ha senso se vi viene data lavoro che voi vi preoccupiate di creare una funzione aziendale che si occupi delle vendite? Tanto voi direte, ho chi mi da il lavoro e quindi è meglio che mi concentri nella produzione. Questo è lo schema mentale diffuso nell’imprenditoria del nord-est  che è entrato in crisi per effetto della globalizzazione. Le grandi aziende nel tempo della globalizzazione hanno la possibilità di acquistare la componentistica a livello mondiale a minor prezzo e quindi hanno ridotto o eliminato gli ordinativi alle piccole aziende che avevano creato attorno a se  per servirle.

Ma cosa significa essere una grande azienda? Principalmente si potrebbe pensare che la differenza risiede semplicemente nel numero dei dipendenti occupati. Una aziende può essere ritenuta di grandi dimensioni se ha un numero di occupati superiore a 250 dipendenti. In realtà sono altri i criteri che la identificano: Un aziende di grandi dimensioni è una azienda che è strutturata su più funzioni. Esiste una funzione vendite, una funzione valorizzazione del prodotto (marketing), una funzione contabile e una funzione di produzione. Il proprietario/imprenditore non è inteso essere colui che comanda e sa tutto di tutto, ma ha creato attorno a se uno staff dirigenziale formato da persone competenti che si occupano ciascuno delle proprie funzioni. Se ci pensate la funzione vendite avrà il compito di vendere e accrescere il numero di clienti per assicurare all’azienda la possibilità di prosperare e generare ricchezza, mentre la funzione marketing analizzerà la concorrenza e il mercato per applicare nuove strategie capaci di valorizzare i prodotti, di crearne di nuovi e di fidelizzare i clienti. Ritornando al nostro piccolo imprenditore titolare di una piccola o media impresa ora è più facile capire i problemi che si trova ad affrontare oggi, le grandi aziende hanno ridotto o eliminato gli ordinativi, non ha una azienda strutturata e principalmente capace di produrre e lo sa fare bene. Ma come si può prosperare senza clienti? Come può vincere le sfide della globalizzazione e della concorrenza sleale?

Se ascoltate, oggi tutti parlano in regione d’innovazione affermando che l’imprenditore deve innovarsi per vincere ed essere ancora competitivo nel mercato. Ma secondo voi quelli che parlano sanno cos’è l’innovazione? L’imprenditore che non ha una funzione di vendita, che è indispensabile per sopravvivere, sa che cos’è l’innovazione e come deve agire per applicarla nel contesto aziendale?

Facciamo un passo per volta e cerchiamo di capire che cosa sia l’innovazione. L’innovazione è una parola che riassume un metodo nel gestire un prodotto. Tale metodo implica che l’imprenditore debba analizzare il mercato e i concorrenti per valutare come sono i suoi prodotti rispetto a quanto fa la concorrenza. Sulla base di questa analisi si valuta se il prodotto deve essere aggiornato o radicalmente cambiato, nel senso di crearne uno nuovo. Analizzare la concorrenza permette con dinamicità, con movimento di migliorare e valorizzare il proprio operato e promuoversi in maniera efficace al cliente e al consumatore. Facciamo un semplice esempio: avendo le possibilità economiche, voi, comprereste un autoradio che è anche lettore mp3 o comprereste uno dei primi  autoradio a manopole? Penso che tutti noi saremmo spinti ad acquistare un autoradio tecnologicamente sviluppato, un prodotto che incorpora tecnologia e lo rendono unico rispetto alla concorrenza. Ora l’imprenditore che sa applicare nei suoi prodotti la conoscenza e le tecnologie provenienti dalla ricerca e sviluppo è capace di proporre qualcosa di unico e di nuovo rispetto agli altri e quindi aumentare la propria ricchezza, mentre quelli che producono ancora un prodotto vecchio sono soggetti a perdere quote di mercato e vedersi costretti a chiudere. L’innovazione quindi è valutazione per applicare la conoscenza e la tecnologia quale strategia per valorizzare i prodotti e rendersi unici rispetto alla concorrenza, questa è innovazione, non una parola ma un metodo per vincere sfruttando il sapere. Ora il nostro povero imprenditore come può applicarla autonomamente se non ha neanche una funzione di vendita e non applica le più elementari azioni per vendere?

Sia nelle piccole e medie imprese purtroppo non c’è una struttura organizzativa che riesca a creare un ambiente innovativo permanente. Azioni elementari, che risultano necessarie per poter competere a livello globale, non vengono organizzate con metodo e efficacia: non vengono applicate strategie per analizzare i mercati e la concorrenza, non si applica l’analisi di prodotto e la corrispondente analisi delle tempistiche. Per realizzazione i prodotti vengono impiegati solamente componenti e materiali che sono ben  conosciuti. Non c’è capacità di impiegare nuove conoscenze e tecnologie nei prodotti. La sfera delle idee e della cultura nonché della conoscenza, che ogni soggetto importa all’interno della società umana costruita all’interno della azienda, è scarsa e inadatta alle nuove sfide poste dalla globalizzazione.

A pensarci bene, senza cultura e istruzione si è portati a valutare e a reagire ai cambiamenti solo attraverso l’esperienza vissuta e non si è in grado di valutare mediante nuovi strumenti la necessità di modificare con velocità e originalità un prodotto vecchio e purtroppo imitato da altre realtà che geograficamente si trovano molto lontano rispetto ai distretti industriali.

E’ interessante osservare, anche che la voglia delle aziende di esportare i loro prodotti verso altri mercati al di fuori del sistema economico europeo è tanta, ma l’organizzazione delle attività necessarie per creare e sviluppare un metodo per valutare e rispettare le tempistiche di mercato è scadente. Si vuole vendere negli Stati Uniti, ma non si studiano e non si applicano le norme che regolano la valutazione della sicurezza e il conseguente rilascio del marchio di conformità alla normativa americana. Senza certificazione effettuata da un ente esterno all’azienda, che rilascia quale buon esito della certificazione un etichetta da applicarsi sul prodotto, le merci spedite negli Stati Uniti o in Canada non vengono accettate alle dogane di quei paesi. Ma come mai, una azione tanto semplice quanto quella di acquistare le norme e costruire il prodotto con velocità e nel rispetto delle norme di sicurezza, non viene applicata? Questo è il frutto di un’arretratezza culturale!! Allora come può esserci innovazione all’interno dell’azienda se non si riesce a organizzare queste semplici azioni?

Questa è la crisi strutturale del modo di fare impresa nel nord-est. Può essere risolta solo se c’è formazione e insegnamento nelle nuove tecniche.

Il governatore Draghi nella Lectio Magistralis tenuta presso la Sapienza il 9/11/2006 scrive tra l’altro che: “L’istruzione determina i processi di crescita economica. Il miglioramento delle conoscenze applicate alla produzione, l’accumulazione di capitale umano alimentano l’efficienza produttiva, sospingono la remunerazione del lavoro e degli altri fattori produttivi. Questo motore della  crescita diviene ancora più rilevante nelle fasi caratterizzate da un rapido progresso tecnico. Edmund Phelps notava fin dagli anni sessanta come l’acquisizione di un livello avanzato di conoscenza sia condizione essenziale per innovare e per adattarsi alle nuove tecnologie. Un insufficiente livello di istruzione può ripercuotersi sull’andamento della produttività a causa della conseguente scarsa capacità di realizzare le opportunità legate al rapido progresso tecnico”.

Il governatore Draghi afferma con coraggio che: “Nessuno dovrebbe ormai aver dubbi in Italia sull’urgenza di rimettere in moto la crescita economica. Il vivace spunto di ripresa congiunturale a cui stiamo assistendo non è certo sufficiente ad avviare una rapida soluzione dei difetti strutturali del sistema produttivo.”

 

 

 

 

Purtroppo, questa ripresa congiunturale distoglie l’attenzione dai veri problemi e nell’incapacità del modo di fare impresa specialmente nel nostro nord-est. Senza una politica di volontà nel supportare e accompagnare il cambiamento per vincere questa guerra economica si sta decretando la nostra sconfitta economica. Le sole parole, non accompagnate dalla determinazione e dalla volontà di fare ed essere “operai e maestri” nel tracciare un nuovo modello economico partendo dall’operare assieme ai più umili e indifesi non sono più sufficienti. L’Italia soffre anche se gli indici economici sembrano essere positivi. 

A questi problemi, oggi per effetto di questa finanziaria se ne aggiungono degli altri che privano gli imprenditori di risorse e possibilità economiche per sostenere il cambiamento strategico. Come può l’imprenditore uscire dalla crisi  se oggi perde anche la fiducia nelle istituzioni? Oggi lo Stato è visto quale ente che affama le categorie e illude gli operai che provvederà a ridistribuire la ricchezza nel paese, negando la possibilità a tutti di generare ricchezza e futuro. Torchiare le imprese e spremerle economicamente, specialmente quelle più piccole determina la volontà di spegnere un sistema capace che deve essere supportato con coraggio per internazionalizzarsi e accrescere la propria redditività . A parole dicono che supporteranno l’innovazione, poi ai fatti istituiscono un responsabile governativo per poche aree tematiche di sviluppo che selezionerà le imprese e quindi gli amici a cui dare i contributi. E’ questo che noi vogliamo? E questo quello che gli operai e gli impiegati vogliono per le loro aziende? Noi vogliamo che le nostre imprese crescano e che per effetto di questa crescita ci sia la possibilità di migliorare di nuovo il nostro tenore di vita. E’ questo che voliamo e pretendiamo. I problemi dell’occupazione si potranno risolvere se c’è la volontà nel supportare le nostre imprese.

Ma come fare?

Questo è possibile se noi proponiamo prima di tutto a livello regionale,nella nostra regione a statuto speciale, che venga creato un organismo che si occupi di supportare concretamente le imprese. Un bravo maestro non è forse quello che raccoglie gli ultimi della classe e li porta allo stesso livello dei primi? Questo organismo deve divulgare e accompagnare gli imprenditori per formarli nelle loro imprese a questo nuovo corso economico. Deve fornire degli strumenti per vendere e diffondere i prodotti delle piccole e medie imprese ed innovarsi a basso costo affinché possa generarsi ricchezza. Solo così si  potrà procede a garantire futuro e certezze per le classi operaie e impiegatizie. Con unità, con coesione e insieme potremo vincere e prosperare. In regione deve formarsi una nuova legge per l’innovazione che dia più potere alle imprese affinché a queste sia data la possibilità di gestire ed avvalersi dell’innovazione offerta al mercato dalle università regionali nel più breve tempo possibile per arrivare per primi sul mercato.

A questo punto, permettetemi di spendere due parole per noi giovani che rappresentiamo il futuro di questa vostra Italia!

Noi giovani siamo il pilastro della nostra Italia; rappresentiamo il futuro e abbiamo il diritto e il dovere di contare di più nelle scelte decisionali. A coloro che siedono nei “banchi del potere” dobbiamo affermare con profondo senso democratico, la volontà e il diritto a tracciare il nostro destino. Basta al lassismo e alle falsità e ai falsi ideali che ci vengono proposti per sedare le nostre anime! Basta alla finta “comodità” che ci viene inculcata per spegnere il nostro vero spirito di Italiani veri e combattivi. Noi, dobbiamo, con vero spirito italiano, essere costruttori del nostro destino, per vincere questa sfida per la nostra Patria!

Tempo addietro ci è stato dato un comandamento: “Amatevi e crediate alla vostra capacità nel dipingere il vostro futuro e quella della nostra Patria”.

Vogliamo che con far nulla, con le sole parole seguite dal lassismo permettiamo a questi vecchi di distruggere la nostra economia? E questo che vogliamo? O vogliamo condividere un sogno? Trasformare questa nostra economia decadente in una terra prolifera! Affermare ancora una volta la grandezza della nostra gente! Gente, che non deve aspettare nessuno, non deve aspettare la carità di nessuno, ma da sola con spirito ed abnegazione al dovere, cresce e dimostra la sua capacità e volontà di essere ancora una volta direttrice dell’economia e della creatività.

Noi giovani dobbiamo alzare la voce affinché concretamente si pensi al nostro futuro con opere e non con parole. Dobbiamo partecipare attivamente alla vita sociale per collaborare con la nostra voglia di fare, le nostre capacità e la nostra gioventù al processo decisionale per proporre progetti nuovi e rivitalizzare la nostra morente economia.

Cooperiamo alla grandezza della nostra Italia e non pieghiamoci alla miseria mentale che ci circonda!

La Creatività quale medicina alla Crisi

creativita

Questa settimana ho incontrato un amico “cesellatore delle forme plastiche del vetro” e parlando assieme a lui mi sono chiesto che cosa significa essere creativi e quale effetto positivo significhi applicare la creatività nel nostro vivere quotidiano.

Ebbene Albert Einstein ha detto: “L’uomo per il quale non è più familiare il sentimento del mistero, che ha perso la facoltà di meravigliarsi e di umiliarsi davanti alla creazione è come un uomo morto o almeno cieco.”

Ma cosa significa letteralmente creare? Il verbo “creare”, al quale il sostantivo “creatività”  deriva dal “creare” latino, che condivide con “crescere” la radice KAR.  “KAR-TR” è “colui che fa” (dal niente), il creatore.

Quindi la creatività è il processo, o meglio l’organizzazione del lavoro, che permette di creare, costruire un’idea, quindi un prodotto o un opera dal niente. E’indispensabile, anzi vitale per un’azienda o per una  comunità costruire degli ambienti dove le idee sono libere di circolare, dove le persone possano parlare e condividere esperienze, perché l’idea geniale è la sommatoria di piccole intuizioni condivise tra persone in momenti diversi  dell’attività lavorativa.

Quante volte vi è nata una idea, una intuizione alla macchinetta del caffè?

coffee_room Eppure è vero la macchinetta del caffè è un ambiente che permette di facilitare la comunicazione e permette alla mente di divagare e proprio da questo divagare emergono idee ed intuizioni che difficilmente riescono ad emergere in ambienti regolati da regole. Vero è che a volte c’è un abuso della pausa caffè e che per lo più delle volte viene usata non quale momento per condividere e comunicare, ma quale momento per perdere inutilmente tempo. E’ importante considerare la pausa caffè come uno strumento di comunicazione senza per questo abusarne.

A questo punto ci chiediamo, ma come nascono le buone idee?

Magicamente, adesso state capendo che innovazione, miglioramento continuo, business nascono e si sviluppano solo da una parola COMUNICAZIONE.

Sì il segreto sta nel comunicare, nel costruire processi che facilitino lo scambio di idee e di dati. Processi, che mettano insieme le persone e che permettano di vincere la paure che frenano il condividere idee e pensieri. E’ l’ambiente di lavoro  a giocare un ruolo fondamentale  anzi vitale, per costruire ed incoraggiare le relazioni interpersonali. Le idee, la creatività può prendere corpo se solo se l’ambiente di lavoro stimola le persone a produrre idee, a comunicarle, a condividerle a considerarsi a vicenda soggetti che partecipano a uno stesso obiettivo di crescita della società e quindi di crescita della propria persona.

Le aziende, le società civili in genere, le comunità che non comunicano, sono luoghi dove difficilmente ci può essere innovazione e quindi sviluppo sociale che porta alla crescita culturale e materiale delle persone e quindi dell’intera comunità. Anzi, per lo più il modello organizzativo pubblico e privato è costruito su relazioni di tipo gerarchico che annullano a priori la comunicazione perché ritenuta pericolosa per “l’ordine costituito”. Infatti, se riflettiamo, qui in Italia siamo fortemente arretrati. Nel pubblico come nel privato le organizzazioni del lavoro sono solamente di tipo gerarchico e “spendere” tempo per condividere idee è ritenuto tempo sprecato anzi è considerata una attività sovversiva che può minare l’autorità del capo. Per cui i prodotti, i servizi che ci vengono offerti sono di scarsa qualità e di scarso contenuto tecnologico e risultano non competitivi con altri beni prodotti da aziende e da società, dove l’obiettivo comune è la crescita dell’intera comunità. Si potrebbe dire che qui in Italia c’è troppo individualismo e una scarsa considerazione della comunità e del bene comune. Nei paesi del nord d’Europa e sopratutto in Germania invece al centro dell’attenzione è posta la comunità, intesa come insieme di soggetti singoli che agiscono e cooperano per elevare materialmente e moralmente il sistema paese. Porterò sempre nel cuore l’esperienza che ho potuto fare in BMW dove il direttore di stabilimento (stabilimento di più 1000 persone) chiese all’operaio di linea se la modifica poteva ritenersi soddisfacente. L’operaio rispose di no e il direttore di stabilimento chiese di eliminare tale modifica. E’ interessante questa esperienza perchè fa capire il rispetto che si deve avere per ogni ruolo all’interno di una azienda come di una società civile. E’ l’operaio che lavorando ogni minuto, ogni ora, ogni giorno a una particolare mansione conosce nel dettaglio i problemi, le migliorie quindi ha il polso della situazione per quanto riguarda la propria mansione. Il direttore correttamente ha chiesto il parere dell’operaio perchè specialista della mansione e ha fatto propria la sua opinione riconoscendo pubblicamente al gruppo l’importanza dell’opinione dell’operaio. In due parole Rispetto e Riconoscimento del ruolo e dal lavoro sociale delle persone sia che esse siano al vertice che alla base della piramide organizzativa della società umana.

Ebbene, qui in Italia sarebbe successo questo? La risposta nella maggior parte dei casi è no. Qui in Italia il direttore avrebbe cominciato a parlare e ad argomentare sul tema senza aver mai toccato e lavorato direttamente al problema.

E’ questo il nostro problema, la mancanza di rispetto delle persone e della professionalità. Tutti vogliono parlare, tutti vogliono contare senza rispetto per gli altri e senza volontà di migliorare se stessi, in termini culturali. Qui da noi assistiamo a una comunicazione di unidirezionale di tipo broadcast. Uno solo parla e tutti ascoltano senza possibilità di replica e di dialogo.

Ma allora cosa significa il termine comunicazione? Dal latino cum = con, e munire = legare, costruire e dal latino communico = mettere in comune, far partecipe. Quindi comunicare è l’insieme dei fenomeni che comportano il trasferimento di informazioni bidirezionale.

Come migliorare la comunicazione?

A questo punto credo che sia importante riflettere sulla figura di Adriano Olivettiolivetti e sul suo modello di “impresa sociale”.

Infatti purtroppo in pochi in Italia sanno chi sia Adriano Olivetti e che cosa abbia rappresentato l’Olivetti come modello aziendale dove a ogni livello aziendale, dalla classe operaia, alla classe impiegatizia e dirigente, era permesso di seguire corsi, istruirsi ed accrescere la propria cultura personale perché ritenuta fondamentale per la crescita dell’azienda.

Quante aziende, oggi, investono nel capitale umano? Quante aziende riescono a vedere che investire sull’uomo porta alla crescita dell’azienda e della comunità di cittadini?

Olivetti è stato un pioniere, un anticipatore purtroppo rimasto inascoltato. Coloro che si sono formati nella “fucina” dell’Olivetti non sono riusciti ad imporre questo modello sociale d’azienda in questo nostro Paese, ma negli anni si è imposto prepotentemente un modello da catena di montaggio, basato sulle divisioni e sulla gerarchia assoluta della contrapposizione e non dell’unità nel costruire un fine comune.

Adriano Olivetti il 23 aprile del 1955, in un discorso ai lavoratori, formulò alcune domande, probabilmente ancora oggi rimaste inevase: «Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?».

Allora sentiamo le parole di Olivetti in questo documentario dell’epoca prima della sua morte.

Ma cos’è l’Olivetti:  L’Olivetti era una multinazionale nel campo della fabbricazione delle macchine da scrivere: in dodici anni le consociate estere salirono da quattro a diciannove. Cinque gli stabilimenti in Italia, altrettanti all’estero. Per ottenere questi risultati, Adriano Olivetti moltiplicò i prodotti meccanici, chiamò a Ivrea una serie di intellettuali (fra i tanti, impegnati in azienda e nelle attività culturali, lo scrittore Paolo Volponi, i poeti Franco Fortini e Giovanni Giudici, il critico letterario Renzo Zorzi, i sociologi Luciano Gallino e Franco Ferrarotti, il designer Ettore Sottsass), garantì servizi sociali ai dipendenti (hai la Depressione? L’azienda ti fa curare dai medici migliori e ti manda al mare in Toscana) e puntò sulla prima elettronica. All’assemblea degli azionisti del 1959 l’imprenditore di Ivrea disse: «La tecnica elettronica potrà avere nel futuro notevoli ripercussioni sul metodo di fabbricazione di prodotti attualmente realizzati in via meccanica: esiste quindi una ragione fondamentale di sicurezza che ci consiglia di non lasciarci cogliere impreparati quando la tecnica permetterà di trasformare alcuni nostri prodotti da meccanici a elettronici».

Una visione troncata dalla morte prematura di Adriano Olivetti che non gli permise di portare a conclusione questo modello, questa filosofia di organizzazione aziendale dove le persone sono messe al centro dei processi aziendali e tutto viene costruito avendo rispetto della dignità dell’uomo, ben consci che proprio da tale rispetto, nascono e si sviluppano i presupposti per la crescita e la prosperità non solo dell’azienda, ma dell’intera comunità civile e di un intero Paese.

Eppure noi italiani siamo un popolo capace di grandi gesta, di grandi idee ed abbiamo una capacità di vedere le cose e di capirne il significato facilmente a prima vista, quasi fosse una dote che si può sviluppare solamente qui in Italia, ma oggi stiamo vivendo un periodo di smarrimento comunitario. Abbiamo perso la fiducia in noi stessi prima che nel Paese. Abbiamo lasciato spazio allo sconforto dimenticandoci che siamo un popolo di creativi e capaci quindi di scoprire nuovi metodi per migliorare la qualità del vivere. Nuovi metodi per migliorare i nostri prodotti, le nostre aziende, le nostre vite.

Perchè dobbiamo vivere nello sconforto? Perchè dobbiamo vivere nelle difficoltà?

Ecco che allora entra di prepotenza la creatività quale medicina alla crisi. In una trasmissione di RTL 102.5 hanno intervistato il dott. Morelli, psicologo,  che spiega come la creatività e quindi vivere creando, aiuta a vivere in felicità. Vi e mai capitato di giocare di nuovo con i Lego? Quanto bello è prendere un mattoncino dopo l’altro e pensare quale forma realizzare: una casa, un’auto, un’astronave.  Ecco in quel momento la mente si libera dalle preoccupazioni, dalle ansie e un progetto, un disegno comincia a prendere forma sia nella testa sia di fronte a voi con le vostre mani. Con quel semplice atto del creare, quindi del costruire da zero, inizia un percorso di libertà dalle costrizioni, dagli schemi che ci vengono imposti per limitare le nostre capacità di contribuire a rendere migliore questo nostro Paese. Sì il cambiamento, il miglioramento nostro e della nostra comunità inizia da noi. Siamo noi a scegliere che forme dare alla nostre vita e al nostro Paese.  Non ce l’ha dimostrato Adriano Olivetti costruendo un’azienda a misura di uomo e donna in un periodo nel quale l’uomo era considerato solamente quale portatore  di un semplice e puro contributo manuale?

La risposa a questa domanda va ricercata in ognuno di voi. Solo rispondendovi a voi stessi, potrete capire che se tutti noi applichiamo la creatività e l’impegno civile e  contribuiamo in prima persona al cambiamento e al miglioramento del nostro Paese, di questo nostro Stato. Sono sicuro che potremmo ripartire alla grande perché saremo noi gli artefici, i primi attori di questa nuova avventura, di questo nuovo risorgimento italiano.

 

Si sta come le foglie in autunno

foglia_autunno

Si sta come le fogli in autunno!

Non poteva rendere meglio Giuseppe Ungaretti quando nel lontano 1916 decise di scrivere i versi di questa poesia.

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A distanza di cento anni le persone, le città, i costumi sono cambiati, ma i sentimenti no, non sono cambiati. Forse però il benessere ci ha resi più deboli, più egoisti facendoci perdere il significato della vita. Siamo in autunno e basta fermarsi un attimo svuotare la mente per accorgerci del dolore che ogniuno di noi prova nel proprio io. Ci sono poi persone che maniferstano questo disagio dell’anima in modo chiaro, i più invece portano questa croce chiusa nel proprio interno e sfogano la rabbia e la delusione all’interno del proprio nido; quel nido descritto dal Pascoli che tanto ci ha fatto ridere da piccoli quando non eravamo ancora capaci di pesare e capire il significato delle parole.
Oggi, in questo autunno delle anime, le parole sono private di significato per cui comportamenti immorali sono considerati normali. Per cui rubare alla comunità è considerato normale. Per cui manifestare palese incapacità ed ignonaranza sono considerate qualità indispensabili, anzi curriculari, per poter svolgere la funzione di politico ed essere considerati credibili dalla comunità.
Ma cosa significa essere politico? Significa essere ladro, incapace, bugiardo o spiantato oppure essere al servizio del bene comune ed essere combattente per portare il progresso della comunità e la prosperità condivisa?
Caro lettore a questo punto dobbiamo chiedere a noi stessi cosa vogliamo per il nostro futuro. Dobbiamo chiederci se è questa la Nazione che vogliamo. Dobbiamo chiederci se non sia il caso di esercitare democraticamente il nostro diritto a modificare questo Paese per tornare a sorridere.
sera

Alla sera, quando torni a casa a cosa pensi? Quando torni a casa ed incroci gli occhi di tua moglie, di tuo marito, dei tuoi figli a cosa pensi?

figli

Non vedi futuro e ti assalgono i pensieri del lavoro, del mutuo dell’infelicità e della consapevolezza che non c’è più felicità e sicurezza nel futuro. Vedi poi alla televisione che esistono dei soggetti che si sono proposti per governare la vita sociale che non soffrono e alla prime difficoltà della vita con facilità si aumentano lo stipendio e rubano i soldi della comunità, mentre te non sai che cosa ti aspetterà domani.
E’ questa la vita che vuoi? Credi perchè sei pensionato che questa situazione non ti tocchi? Credi perchè sei dipendente pubblico che non rimarrai a casa? E’ tutto sbagliato e sai perchè? Perchè se nella comunità non c’è equilibrio presto o tardi tutta la famiglia soffrirà. Apri gli occhi e decidi te, non gli altri, quale futuro vuoi per te e per chi ti circonda. E’ il momento di prendere in mano le redini della tua vita e dei tuoi cari.

cambiamento

Cambiare è possibile, ma bisogna avere coraggio di applicare la nostra Costituzione. Abbiamo un disegno da portare avanti. Abbiamo un obiettivo da raggiungere.

La prosperità, la felicità e l’eliminazione dello sciavismo esercitata attraverso il controllo con il mutuo e i finanziamenti al consumo. Non te lo eri mai chiesto vero?

servoNon ti sei mai accorto di essere uno schiavo, un servo della gleba? Eppure è vero attraverso il mutuo, il debito declinato nelle sue varie e disparate forme, condizionano la tua vita e la vita futura dei tuoi cari. Ma come fare per tornare a sorridere? Quale strada seguire?

liberta

La risposta è semplice ed eccola: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Hai visto che semplice? E’ la nostra Costituzione a creare il vincolo del mandato tra gli eletti e gli elettori per la crescita materiale ed intellettuale dell’intera comunità.
Questi falliti, che di fatto non rispettano la Costituzione deveno andarsene e lasciarci prendere le redine del nostro futuro per ottemperare alle volontà dei Padri Costituenti.

costituzione
Non ti rendi conto che con il tuo consenso o la tua indifferenza nella gestione della cosa pubblica, hai permesso e stai permettendo la distruzione del nostro Stato, del nostro Paese. Se questi individui venissere un giorno e ti dicessero che devi rinunciare alla tua casa, alla tua libertà per coprire e colmare gli sbagli che loro hanno commesso, cosa diresti? Saresti contento? Oppure chiederesti di andarsene? Eppure è quello che stanno facendo. Lavoro non ne costruiscono, ma stanno distruggendo la Repubblica, la nostra comune casa e quindi la nostra libertà individuale a vivere pienamente la nostra vita in piena dignità garantita dalla Costituzione.

comunita

Il futuro è a portata di mano ma dobbiamo civilmente chiedere e pretendere che solamente persone di capacità possano gestire il bene comune, perchè dalla sua gestione dipende le sorti e la dignità del vivere nostra e dei nostri figli. Abbiamo un obbligo sociale a vigilare la gestione del bene pubblico, perchè il futuro e il progresso sociale avviene solamente attraverso il lavoro e non le tasse. Dobbiamo tornare a sperare ed avere fiducia nel futuro consapevoli che è dalle nostre azioni, dalla nostra passione e dalla nostra capacità individuale e collettiva che dipenderà il futuro di questo nostro paese di questa nostra comune casa.

popolo

 

Allora operiamo insieme per il progresso e la felicità condivisa.

felicita

I Sacrifici hanno bisogno di uno Scopo

Cari amici, i veri professori di scuola ci insegnavano che le persone vanno pesate con i fatti. Ci insegnavano che a fronte della richiesta di sacrifici è necessario presentare un’idea, un traguardo da raggiungere per motivare il raggiungimento del risultato. Siamo in una situazione drammatica, questo nessuno lo può negare, ma se vogliamo veramente uscire dalla crisi dobbiamo far si che il sistema gestionale di questo nostro Paese si apra alle nuove idee. Caro presidente Monti, dia a tutti la possibilità che ancor oggi è negata, senza discriminare come accade con una frequenza che è diventata la normalità, i giovani. Non permetta di  vedere i giovani come barboni per le strade e non nei palazzi dei potere. Eppure anche se  questo Stato è la casa di tutti, in realtà osserviamo nei fatti le discriminazioni quotidiane compiute nei confronti di coloro, i giovani, che rappresentano il futuro e hanno l’obbligo di impostare una nuova concezione dello stato sociale. Infatti caro Presidente Monti, noi cittadini, vorremmo che lei ci illustrasse la sua idea concreata di equità, di ripresa sociale.

 Abbiamo bisogno di vedere un progetto per l’occupazione. Vogliamo sentire un condottiero tecnico che in modo autorevole illustra il progetto per far esportare i nostri prodotti con la giusta aggressività commerciale nel mondo. Questo per farci apprezzare i sacrifici che ci ha chiesto. Questo per condividere in modo pieno e responsabile la necessità di salvare l’Italia dal fallimento.

Invece, come i suoi predecessori, nel silenzio delle parole rubata ai nostri cuori tocca gli ultimi e lascia il Popolo nel silenzio e nell’ignoranza escludendo i giovani. Ci sono giovani, che non si chiamano Martone, che non portano un cognome prestigioso, ma che hanno un potenziale unico, una capacità incredibile di vedere e programmare le azioni per la ripresa in modo originale rispetto a coloro che sono da trent’anni o quaran’anni nella stanze delle decisioni. Non crede che per far ripartire il Paese ed evitare da Buon Cristiano che molti imprenditori della mia terra, di questo Nord-Est operoso, che si suicidano perché lasciati soli senza speranza, sia il caso di licenziare questa classe burocratica ed sostituirla con i giovani? Non crede che a questo Paese servano delle nuove idee? Servano nuove forze? Eppure, lei che è professore dovrebbe sapere che i primi passi che si compiono per ristrutturare un’azienda è la sostituzione di tutti i dirigenti che hanno portato alla crisi strutturale dell’azienda con forze nuove e con nuove idee. Da questo si studiano i casi aziendali di successo delle ristrutturazioni d’azienda non c’è nessun caso nel quale coloro che hanno portato alla crisi abbiano risollevato le sorti d’azienda. Professor Monti, la supplico, anche se la supplica era in uso al tempo dei padroni e dei vassalli, di ascoltare i giovani e dare a loro delle possibilità concrete, prima che con questo comportamento illogico fratturi questo Paese. A Nord-Est come nell’Italia operosa serve un nuovo entusiasmo.

A Nord-Est come nel resto di questo Paese operoso servono nuovi strumenti per esportare con aggressività e riprenderci la ricchezza che abbiamo perso in questi anni. Lei lo sa, da professore lungimirante, questa è una guerra economica combattuta non nei campi fisici di battaglia ma nel campo dell’economia. Abbiamo subito la rotta di Caporetto e ci siamo attestati sul Piave, ma le trincee si stanno sgretolando. Il morale dei soldati è a pezzi logoro da anni di sopravvivenza.

Servono nuove forze, nuova carne  ai veterani per poter compiere l’ultima carica alla baionetta e riconquistare la dignità del vivere sottrattaci. Non permetta che l’indifferenza dei suoi collaboratori escluda sistematicamente le menti brillanti di questo Paese. Non permetta che l’ignoranza prevalga sul dialogo e sul saper ascoltare le idee diverse, ma di buon senso perché maturate con esperienza e con sacrificio rispetto coloro che hanno, perché vivono delle rendite dei cognomi illustri di questo Paese. Applichi e faccia applicare la nostra Costituzione e l’eguaglianza e le pari opportunità.   Dimostri nei fatti il cambio di marcia e l’unità generazionale ora e non dopo di lei. Ci dia uno scopo e alle nostre imprese dia gli strumenti per vincere questa guerra come da me proposti nelle missive che ho cercato di condividere con lei, ma che sono state censurate dalla superficialità della sua squadra.

—–Messaggio originale—– Da: Dr. Ing. Marco Lanaro [mailto:xxxx.marco.lanaro@xxxx.xxxx] Inviato: martedì 21 febbraio 2012 16:25 A: xxxxxxxxx@governo.it Oggetto: Richiesta Appuntamento

Egregio prof. Monti,

Le scrivo per condividere alcune idee su come poter uscire dalla crisi e dare degli strumenti concreti alle imprese medio piccole, quindi dare speranza agli imprenditori e a tutti noi ad ogni livello della società.

Come potrà leggere nell’articolo allegato il_nuovo_FVG_24_Marzo_2006 che ho iniziato a parlare della crisi, delle sue conseguenze drammatiche e dei suoi effetti sulla nostra società, lavorando perché non si perdesse tempo e si accompagnasse il miglioramento delle imprese per rendere più concorrenziali sui mercati internazionali e quindi di riflesso dare vero lavoro, stabile e prospettive per il futuro soprattutto per i giovani oggi esclusi da ogni livello nel nostro Paese.

Ho avuto modo di confrontarmi con direttori delle attività produttive della regione Friuli Venezia Giulia, sindacati, politici ed associazioni di categoria. Tutti condividevano le idee, ma poi per non esporsi non fanno nulla lasciando il sistema Paese collassare. Anzi, il consiglio più ricorrente che ho ricevuto è stato di lasciare perdere, di pensare solo a me stesso.

Ho avuto la possibilità di presentare nel 2009 al presidente Fini a Montecitorio il progetto per il rilancio economico del nostro Paese, ma è stato chiuso in un cassetto.

(doppio click per aprire il progetto)

Purtroppo, mi sono accorto che essere ingegnere, aver fatto esperienza nel mondo fornedo BMW ed avere solo trentaquattro anni nel nostro Paese è un handicap.

Quanto propongo nasce dalla mia esperienza del mercato tedesco. Ho lavorato 4 anni con BMW quindi conosco molto bene l’organizzazione del lavoro tedesco e gli strumenti che il sistema tedesco ha messo a disposizione delle piccole e medie imprese.

Ogni giorno entro nelle aziende, le valuto e il primo argomento che trattiamo riguarda la crisi, il pensiero al suicidio quale unico modo per risolvere i problemi. Questa reazione è indotta principalmente dallo stato di abbandono in cui vive la popolazione rispetto coloro che dovrebbero dare dei nuovi strumenti, dare una nuova speranza e invece sono solo capaci di distribuire le colpe lasciando i problemi irrisolti. E’ una situazione drammatica, perché operai, impiegati ed imprenditori sono abbandonati a loro stessi.

E’ il valore cristiano dell’ascolto e del lavorare assieme a dare la forza per superare le difficoltà.

Scusi se mi sono dilungato. Le ho scritto per condividere le mie idee ed avere la possibilità di conoscerla e di chiederle se questo governo può dare delle possibilità ai giovani come me che non vogliano arrendersi e sentano come me, l’obbligo di lavorare in questo Paese per rilanciare l’economia vera, basata sul lavoro, e tornare a dare speranza e fiducia attraverso le parole, ma soprattutto attraverso gli strumenti.

Le chiedo se è giusto che ognuno pensi solo a se stesso senza avere ideali e la volontà nel lavorare assieme per costruire una società basata sull’unità e sulla serenità.

C’è la possibilità di usciere dalla crisi, ma in questo Paese bisogna riscoprire i valore della comunione e dello stare insieme perché i problemi possono essere risolti solo in gruppo perché un Paese in ultima analisi è una grande famiglia.

Ringraziandola e sperando che ella vorrà darmi la possibilità di presentarle le mie idee per la organizzazione di questi strumenti anche attraverso la riorganizzazione dell’ICE su modello tedesco.

Distintamente Ringrazio,

Ing. Marco Lanaro

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Da: Segreteria Particolare del Presidente [mailto:xxxxxx@palazzochigi.it]
Inviato: venerdì 24 febbraio 2012 12:40
A: xxxx.marco.lanaro@xxxx.xxxx
Oggetto: e-mail indirizzata al Presidente Monti

Per conto del Presidente Monti, desideriamo ringraziarLa per le parole di stima che gli ha rivolto e per i documenti che ha inviato.

Con i migliori auguri per i Suoi progetti e attività future, Le porgiamo i più cordiali saluti

La Segreteria

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Da: Dr. Marco Lanaro [mailto:xxxx.marco.lanaro@xxxx.xxxx] Inviato: domenica 26 febbraio 2012 10:15 A: ‘Segreteria Particolare del Presidente’ Cc: ‘xxxxxx@governo.it’ Oggetto: R: e-mail indirizzata al Presidente Monti

Egregia Segreteria particolare del Presidente Monti,

voglio ringraziarvi per la solerte risposta e voglio ringraziare anche la dott.sa xxxxx, che ci legge in copia, per la gentilezza nel aver inoltrato alla vostra struttura la mia missiva.

Mi permetto, dato che per lavoro mi interfaccio ad ogni livello istituzionale nel mondo e specialmente in Germania, di avanzare una piccola osservazione praticata ed osservata scrupolosamente dal BÜro del Dr. Ackermann CEO della Deutsche Bank.

Quando si risponde a nome di una struttura funzionale si indica sempre i dati di riferimento del responsabile che risponde a nome dell’intera struttura. Questo per rispettare le normali regole della corrispondenza.

Ho avuto modo di parlare della vostra gentile risposta con professori che hanno avuto modo di conoscere il presidente Monti e mi hanno confermato che, il presidente Monti essendo estremamente sensibile ed accorto, avrebbe sicuramente risposto alla missiva pervenuta con maggior attenzione e tatto; anche perché si capisce nella missiva che vengono avanzate richieste al Presidente di nuovi strumenti dal mondo degli imprenditori della piccola e media impresa, che non sono rappresentati come confindustria,  ma rappresenta il 98% delle aziende italiane.

A questo riguardo mi permetto di allegavi la valutazione tecnica al mio progetto che ho ricevuto dai nostri connazionali in Australia nel 2007, dove già prima della crisi, esortavano il nostro Paese ad ascoltare nell’adottare nuovi strumenti per la competitività del nostro apparato produttivo.

Sono a chiedervi di dare al presidente Monti  la possibilità di valutare la bontà tecnica degli strumenti che propongo e che i piccoli imprenditori sentono necessari e vitali per essere competitivi.  Spererei che il Presidente Monti voglia permettermi un confronto con le strutture preposte a fare propri questi strumenti quali il Ministero dello sviluppo economico.

Attenderò quindici giorni prima di relazionare al mondo della piccola imprenditoria sulla poca sensibilità delle Istituzioni nel condividere altre proposte sentite da chi produce e valutate idonee già a partire dal 2007 da coloro, che vivendo e lavorando al di fuori del nostro Paese, hanno maturato una sensibilità maggiore e diversa rispetto ad una struttura impreparata a gestire il post-crisi.

Ringraziando per il tempo concessomi e concesso ai piccoli imprenditori di questo nostro Paese rimango in attesa di un vostro gentile riscontro nella speranza di essere ascoltato con la stessa sensibilità che il Ministro della Pubblica Istruzione mi riservò quando fui premiato nel 1997.

                                                                                                                             Ing. Marco Lanaro

 

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La crisi obbliga nuove idee e responsabilità

12 Dicembre 2011

Credo che sia importante riflettere su quanto stia succedendo. L’Italia fino a poco tempo fa sembrava forte e in molti, anche nella nostra regione, affermavano che la crisi non c’era. Era puramente un’invenzione giornalistica. In più era colpa dei giovani  perché il lavoro c’è e se il giovane è disoccupato è colpa sua perché ama solo la bella vita. Parole facili e sconsiderate in un contesto di pari opportunità generazionale. Adesso è arrivato il prof. Monti e l’Italia si sta svegliando e scoprendo solo ora che il Paese è in una profonda crisi di lavoro, di identità  e di fiducia. Oggi si scopre che il lavoro non c’è, che futuro non  c’è, che molte delle nostre imprese sono chiuse e molte persone e famiglie si trovano in cassa integrazione  senza futuro occupazionale e dignità nel vivere. Altri, i più, sono disoccupati e pensionati  sofferenti nel proprio spirito e nella propria dignità umana.

Andava tutto bene. Gli italiani popolo di benestanti fino all’insediamento di Monti. Oggi si scopre che dietro al cartongesso delle parole di facciata la realtà e profondamente drammatica. L’Italia si è impoverita, le famiglie si sono indebitate nell’indifferenza dell’azione dell’organizzazione sociale e le imprese superstiti sono state abbandonate a un destino di morte dovuto alla aggressività commerciale degli altri paesi.

Non occorre andare nel Meridione per capire la gravità della situazione perché basta andare a Manzano, a Martignacco,a Trieste e a Monfalcone per capire il dramma industriale e sociale della nostra regione. Dramma dovuta alla negligenza e alla impreparazione di coloro che da anni hanno  la possibilità di applicare nuovi schemi e modelli di sviluppo per il nostro futuro. Oggi scopriamo che nulla è stato fatto per lo sviluppo e l’unico merito è quello della riduzione del debito della nostra regione. Per rendere concorrenziali le nostre imprese non basta solamente la riduzione dei costi e delle imposte fiscali. La Germania da l’esempio avendo spinto le proprie aziende a una maggior capacità concorrenziale basata sulla qualità e contenuto tecnologico dei prodotti pur lasciando un carico fiscale molto elevato. Purtroppo anche se lodevole e meritevole come azione di governo, questo non permetterà nel lungo periodo di rilanciare la nostra economia e generare nuovo benessere. Infatti, non bisogna essere economisti per leggere la storia e valutare ciò che sono state le azioni per la ripresa occupazionale: in momenti di profonda crisi occupazionale i governi lungimiranti hanno sviluppato nuovi modelli di sviluppo investendo nel costruire nuove imprese e opere per incentivare le persone di capacità nell’incrementare l’occupazione. Non capisco come mai nella nostra regione non si applica il modello tedesco per l’esportazione. Infatti le camere di commercio tedesche non promuovono solamente le imprese tedesche nei mercati mondiali, ma hanno costruito una rete di vendita per vendere i prodotti delle piccole e medie imprese nel mondo. Perché Friulia non può svolgere la stessa missione? Se ciò accadesse si potrebbe occupare giovani come rappresentati di vendita e sarebbe una prima risposta concreta alla crisi. Le imprese locali avrebbero uno strumento per esportare e la regione avrebbe nuove finanze per investire nella riduzione del debito e nel rilancio economico e nell’equilibrio sociale. Il problema risieda nella mancanza di idee e capacità nel applicare un nuovo modello. Ci vorrebbe di nuovo la figura autorevole del carnico Fermo Solari, padre dell’occupazione sociale e fondatore della Solari di Udine. Padre della Nazione e Pioniere dell’occupazione. Costruttore di un modello imprenditoriale dove l’equilibrio tra operai, impiegati e dirigenti permise con equità di costruire e diffondere i prodotti della Solari nel mondo.

Diverse sono stati i progetti che dal 2005 ho presentato in Regione ai direttori delle attività produttive per ridisegnare il ruolo di Friulia per dare degli strumenti concreti per l’innovazione e la diffusione su scala globale dei prodotti delle nostre imprese, evidenziando la necessità di reagire immediatamente per essere pronti a ciò che sarebbe accaduto in breve.  Ho ricevuto maggior attenzione dal nostro Presidente della Repubblica e dal Presidente della Camera dove a Montecitorio ho potuto illustrare il mio progetto sulla difesa del made in Italy basato sulla mia esperienza in Germania. A volte Roma è più vicina rispetto ai palazzi locali e alla disponibilità dei nostri amministratori ad ascoltare le nuove idee basate su esperienze internazionali.

Forse la crisi d’identità e di orgoglio ha investito coloro che per il ruolo che ricoprono volontariamente, sono obbligati ha disegnare le azioni della ripresa. Infatti non si può attribuire questo stato di disgrazia ai soli mercati mondiale o alla speculazione, perché quando una famiglia si trova in profonda difficoltà, le leggi della natura insegnano, che il capo famiglia lotta, soffre ed è d’esempio per i propri figli provvedendo ai bisogni e alla speranze della prole.

Oggi abbiamo bisogno di vedere a livello collettivo dei padri di famiglia che tracciano i segni della ripesa e dell’occupazione. Padri di famiglia che come recita il nostro codice civile, applicano la diligenza del buon padre di famiglia nella gestione della comunità. Forse l’anno nuovo sarà l’anno della riscoperta dei valori comunitari e la società chiederà il rendiconto sulla gestione del bilancio sociale di questo Paese e di questa regione. Ci dobbiamo augurare solo che ciò avvenga con l’equità della parola e della disciplina che caratterizza il popolo italiano nei momenti di pace sociale.