La Creatività quale medicina alla Crisi

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Questa settimana ho incontrato un amico “cesellatore delle forme plastiche del vetro” e parlando assieme a lui mi sono chiesto che cosa significa essere creativi e quale effetto positivo significhi applicare la creatività nel nostro vivere quotidiano.

Ebbene Albert Einstein ha detto: “L’uomo per il quale non è più familiare il sentimento del mistero, che ha perso la facoltà di meravigliarsi e di umiliarsi davanti alla creazione è come un uomo morto o almeno cieco.”

Ma cosa significa letteralmente creare? Il verbo “creare”, al quale il sostantivo “creatività”  deriva dal “creare” latino, che condivide con “crescere” la radice KAR.  “KAR-TR” è “colui che fa” (dal niente), il creatore.

Quindi la creatività è il processo, o meglio l’organizzazione del lavoro, che permette di creare, costruire un’idea, quindi un prodotto o un opera dal niente. E’indispensabile, anzi vitale per un’azienda o per una  comunità costruire degli ambienti dove le idee sono libere di circolare, dove le persone possano parlare e condividere esperienze, perché l’idea geniale è la sommatoria di piccole intuizioni condivise tra persone in momenti diversi  dell’attività lavorativa.

Quante volte vi è nata una idea, una intuizione alla macchinetta del caffè?

coffee_room Eppure è vero la macchinetta del caffè è un ambiente che permette di facilitare la comunicazione e permette alla mente di divagare e proprio da questo divagare emergono idee ed intuizioni che difficilmente riescono ad emergere in ambienti regolati da regole. Vero è che a volte c’è un abuso della pausa caffè e che per lo più delle volte viene usata non quale momento per condividere e comunicare, ma quale momento per perdere inutilmente tempo. E’ importante considerare la pausa caffè come uno strumento di comunicazione senza per questo abusarne.

A questo punto ci chiediamo, ma come nascono le buone idee?

Magicamente, adesso state capendo che innovazione, miglioramento continuo, business nascono e si sviluppano solo da una parola COMUNICAZIONE.

Sì il segreto sta nel comunicare, nel costruire processi che facilitino lo scambio di idee e di dati. Processi, che mettano insieme le persone e che permettano di vincere la paure che frenano il condividere idee e pensieri. E’ l’ambiente di lavoro  a giocare un ruolo fondamentale  anzi vitale, per costruire ed incoraggiare le relazioni interpersonali. Le idee, la creatività può prendere corpo se solo se l’ambiente di lavoro stimola le persone a produrre idee, a comunicarle, a condividerle a considerarsi a vicenda soggetti che partecipano a uno stesso obiettivo di crescita della società e quindi di crescita della propria persona.

Le aziende, le società civili in genere, le comunità che non comunicano, sono luoghi dove difficilmente ci può essere innovazione e quindi sviluppo sociale che porta alla crescita culturale e materiale delle persone e quindi dell’intera comunità. Anzi, per lo più il modello organizzativo pubblico e privato è costruito su relazioni di tipo gerarchico che annullano a priori la comunicazione perché ritenuta pericolosa per “l’ordine costituito”. Infatti, se riflettiamo, qui in Italia siamo fortemente arretrati. Nel pubblico come nel privato le organizzazioni del lavoro sono solamente di tipo gerarchico e “spendere” tempo per condividere idee è ritenuto tempo sprecato anzi è considerata una attività sovversiva che può minare l’autorità del capo. Per cui i prodotti, i servizi che ci vengono offerti sono di scarsa qualità e di scarso contenuto tecnologico e risultano non competitivi con altri beni prodotti da aziende e da società, dove l’obiettivo comune è la crescita dell’intera comunità. Si potrebbe dire che qui in Italia c’è troppo individualismo e una scarsa considerazione della comunità e del bene comune. Nei paesi del nord d’Europa e sopratutto in Germania invece al centro dell’attenzione è posta la comunità, intesa come insieme di soggetti singoli che agiscono e cooperano per elevare materialmente e moralmente il sistema paese. Porterò sempre nel cuore l’esperienza che ho potuto fare in BMW dove il direttore di stabilimento (stabilimento di più 1000 persone) chiese all’operaio di linea se la modifica poteva ritenersi soddisfacente. L’operaio rispose di no e il direttore di stabilimento chiese di eliminare tale modifica. E’ interessante questa esperienza perchè fa capire il rispetto che si deve avere per ogni ruolo all’interno di una azienda come di una società civile. E’ l’operaio che lavorando ogni minuto, ogni ora, ogni giorno a una particolare mansione conosce nel dettaglio i problemi, le migliorie quindi ha il polso della situazione per quanto riguarda la propria mansione. Il direttore correttamente ha chiesto il parere dell’operaio perchè specialista della mansione e ha fatto propria la sua opinione riconoscendo pubblicamente al gruppo l’importanza dell’opinione dell’operaio. In due parole Rispetto e Riconoscimento del ruolo e dal lavoro sociale delle persone sia che esse siano al vertice che alla base della piramide organizzativa della società umana.

Ebbene, qui in Italia sarebbe successo questo? La risposta nella maggior parte dei casi è no. Qui in Italia il direttore avrebbe cominciato a parlare e ad argomentare sul tema senza aver mai toccato e lavorato direttamente al problema.

E’ questo il nostro problema, la mancanza di rispetto delle persone e della professionalità. Tutti vogliono parlare, tutti vogliono contare senza rispetto per gli altri e senza volontà di migliorare se stessi, in termini culturali. Qui da noi assistiamo a una comunicazione di unidirezionale di tipo broadcast. Uno solo parla e tutti ascoltano senza possibilità di replica e di dialogo.

Ma allora cosa significa il termine comunicazione? Dal latino cum = con, e munire = legare, costruire e dal latino communico = mettere in comune, far partecipe. Quindi comunicare è l’insieme dei fenomeni che comportano il trasferimento di informazioni bidirezionale.

Come migliorare la comunicazione?

A questo punto credo che sia importante riflettere sulla figura di Adriano Olivettiolivetti e sul suo modello di “impresa sociale”.

Infatti purtroppo in pochi in Italia sanno chi sia Adriano Olivetti e che cosa abbia rappresentato l’Olivetti come modello aziendale dove a ogni livello aziendale, dalla classe operaia, alla classe impiegatizia e dirigente, era permesso di seguire corsi, istruirsi ed accrescere la propria cultura personale perché ritenuta fondamentale per la crescita dell’azienda.

Quante aziende, oggi, investono nel capitale umano? Quante aziende riescono a vedere che investire sull’uomo porta alla crescita dell’azienda e della comunità di cittadini?

Olivetti è stato un pioniere, un anticipatore purtroppo rimasto inascoltato. Coloro che si sono formati nella “fucina” dell’Olivetti non sono riusciti ad imporre questo modello sociale d’azienda in questo nostro Paese, ma negli anni si è imposto prepotentemente un modello da catena di montaggio, basato sulle divisioni e sulla gerarchia assoluta della contrapposizione e non dell’unità nel costruire un fine comune.

Adriano Olivetti il 23 aprile del 1955, in un discorso ai lavoratori, formulò alcune domande, probabilmente ancora oggi rimaste inevase: «Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?».

Allora sentiamo le parole di Olivetti in questo documentario dell’epoca prima della sua morte.

Ma cos’è l’Olivetti:  L’Olivetti era una multinazionale nel campo della fabbricazione delle macchine da scrivere: in dodici anni le consociate estere salirono da quattro a diciannove. Cinque gli stabilimenti in Italia, altrettanti all’estero. Per ottenere questi risultati, Adriano Olivetti moltiplicò i prodotti meccanici, chiamò a Ivrea una serie di intellettuali (fra i tanti, impegnati in azienda e nelle attività culturali, lo scrittore Paolo Volponi, i poeti Franco Fortini e Giovanni Giudici, il critico letterario Renzo Zorzi, i sociologi Luciano Gallino e Franco Ferrarotti, il designer Ettore Sottsass), garantì servizi sociali ai dipendenti (hai la Depressione? L’azienda ti fa curare dai medici migliori e ti manda al mare in Toscana) e puntò sulla prima elettronica. All’assemblea degli azionisti del 1959 l’imprenditore di Ivrea disse: «La tecnica elettronica potrà avere nel futuro notevoli ripercussioni sul metodo di fabbricazione di prodotti attualmente realizzati in via meccanica: esiste quindi una ragione fondamentale di sicurezza che ci consiglia di non lasciarci cogliere impreparati quando la tecnica permetterà di trasformare alcuni nostri prodotti da meccanici a elettronici».

Una visione troncata dalla morte prematura di Adriano Olivetti che non gli permise di portare a conclusione questo modello, questa filosofia di organizzazione aziendale dove le persone sono messe al centro dei processi aziendali e tutto viene costruito avendo rispetto della dignità dell’uomo, ben consci che proprio da tale rispetto, nascono e si sviluppano i presupposti per la crescita e la prosperità non solo dell’azienda, ma dell’intera comunità civile e di un intero Paese.

Eppure noi italiani siamo un popolo capace di grandi gesta, di grandi idee ed abbiamo una capacità di vedere le cose e di capirne il significato facilmente a prima vista, quasi fosse una dote che si può sviluppare solamente qui in Italia, ma oggi stiamo vivendo un periodo di smarrimento comunitario. Abbiamo perso la fiducia in noi stessi prima che nel Paese. Abbiamo lasciato spazio allo sconforto dimenticandoci che siamo un popolo di creativi e capaci quindi di scoprire nuovi metodi per migliorare la qualità del vivere. Nuovi metodi per migliorare i nostri prodotti, le nostre aziende, le nostre vite.

Perchè dobbiamo vivere nello sconforto? Perchè dobbiamo vivere nelle difficoltà?

Ecco che allora entra di prepotenza la creatività quale medicina alla crisi. In una trasmissione di RTL 102.5 hanno intervistato il dott. Morelli, psicologo,  che spiega come la creatività e quindi vivere creando, aiuta a vivere in felicità. Vi e mai capitato di giocare di nuovo con i Lego? Quanto bello è prendere un mattoncino dopo l’altro e pensare quale forma realizzare: una casa, un’auto, un’astronave.  Ecco in quel momento la mente si libera dalle preoccupazioni, dalle ansie e un progetto, un disegno comincia a prendere forma sia nella testa sia di fronte a voi con le vostre mani. Con quel semplice atto del creare, quindi del costruire da zero, inizia un percorso di libertà dalle costrizioni, dagli schemi che ci vengono imposti per limitare le nostre capacità di contribuire a rendere migliore questo nostro Paese. Sì il cambiamento, il miglioramento nostro e della nostra comunità inizia da noi. Siamo noi a scegliere che forme dare alla nostre vita e al nostro Paese.  Non ce l’ha dimostrato Adriano Olivetti costruendo un’azienda a misura di uomo e donna in un periodo nel quale l’uomo era considerato solamente quale portatore  di un semplice e puro contributo manuale?

La risposa a questa domanda va ricercata in ognuno di voi. Solo rispondendovi a voi stessi, potrete capire che se tutti noi applichiamo la creatività e l’impegno civile e  contribuiamo in prima persona al cambiamento e al miglioramento del nostro Paese, di questo nostro Stato. Sono sicuro che potremmo ripartire alla grande perché saremo noi gli artefici, i primi attori di questa nuova avventura, di questo nuovo risorgimento italiano.